domenica 3 maggio 2015

Il balletto

Ho firmato un altro anno di precariato.

Il fatto che mi ritenga fortunata per questo la dice lunga sullo stato in cui versa la nostra povera Italia. Una nazione che resta insensatamente sconvolta di fronte al rifiuto, sacrosanto, di giovani aspiranti lavoratori di fronte a proposte avvilenti, sia dal punto vista contrattuale che da quello salariale e professionale.

L'osannato JobsAct non ha cambiato le carte in tavola, almeno per quel che mi riguarda. Pare che un consulente del lavoro abbia studiato a fondo la mia situazione per capire come meglio continuare a coglionarmi, assicurandosi la sua parcella in cambio della negazione dei miei diritti. Che poi mica ci voleva tanto. Bastava retrodatare la data dell'inizio del contratto o meglio, lasciare la stessa posticipando quella di fine. Geniale, no? Una roba che potevo fare pure io, per dire.

In ogni caso domani tornerò in ufficio con in tasca l'illusione di essermi sistemata, almeno per i prossimi tre o sei mesi.

Nel frattempo il rapporto con mio marito pare stia migliorando. Io dipendo meno dalle sue attenzioni, lui ha capito quanto mi sono mancate. Che non lo so se sia un riavvicinamento o una semplice strategia di sopravvivenza ma sembra funzionare. L'idillio cui aspiro non c'è, una patina di ipocrisia e ansia da prestazione lo rende, per ora, non perfettamente raggiungibile ma, forse, l'idillio è un'illusione la cui funzione è spingerci verso il perfezionamento costante. Un'utopia a cui, insomma, è possibile solo tendere. Come l'infinito.

Il balletto amoroso tra Sister O. e amico G. continua. Un po' zoppicante. Lei ha sparato le sue cartucce in discreto anticipo sulle intenzioni di lui per poi, delusa dalla sua reazione di ghiaccio, tornare sui suoi passi, verso il suo porto sicuro, dal suo ex non ex. Lui, più coerente e razionale, continua a volteggiare nella nebbia del suo stato confusionale ma cova rancore per le incoerenze di lei, che pare, semplicemente, averlo messo tra parentesi, con la manifesta intenzione di riprendere il filo della sua vita.

Quindici anni sono pochi per promettersi il futuro. Ma trenta sono troppi per i colpi di testa.

Peccato si viva solo di quei colpi di testa. Peccato che i colpi di testa siano l'unica cosa che vale la pena di ricordare.

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