giovedì 26 novembre 2015

Quando il trucco gli riesce, non pensa più a niente

Mettemoce 'na pezza è il leitmotiv di queste ultime settimane. Qualche pezza regge, qualche altra chissà. I dati sul mio hard disk parrebbero essere in salvo sul pc del sant'uomo che si è cimentato nella titatica impresa dall'esito incerto. Il supporto, però, è da ricomprare. Nello specifico è affidabile al 34%, percentuale bassina per una che conserva pure il cartone del latte e tiene moltissimo alle sue memorie. Questa spesa non ci vorrebbe, avrei destinato volentieri questi 80 euro all'acquisto del profumo che, finalmente, ho trovato. Del resto ho promesso a me stessa di smetterla con gli struggimenti dovuti a eventi fuori dalla mia sfera di controllo.

Spero che Sciattaman sia fiero di me per questa frase.

Il nuovo progetto a cui insieme a un grafico, un sistemista e un capo, sto lavorando da un mese, inizia a prender forma. Con esso, l'orgoglio per aver preso parte a qualcosa di nuovo, stimolante e visibile a tutti, ma proprio a tutti.

Le soddisfazioni lavorative vanno di pari passo con le paure riguardo la mia vita privata. Potrei non diventare mai madre, potrei, persino, non essere più moglie. Potrei morire. Il mondo potrebbe finire. Potremmo morire tutti. E allora sticazzi, no?

Con l'obiettivo manifesto di recuperare un po' di serenità e frivolezza adolescenziale, ho inviato l'USI a prendere una cioccolata calda in una nota pasticceria siciliana, qui a Roma. M'è venuta voglia di cannolo alla ricotta, però al cioccolato e ho tutta l'intenzione di incipriarmi il pancreas di zuccheri prima che Sboccaccio mi imponga un sano, puritano ascetismo.

La visita, in programma il 16 dicembre, potrebbe imporre l'ennesimo standby oppure dare un'accellerata improvvisa, spericolata e netta alle mie speranze gettando, in questo caso, un bel po' di confusione nelle nostre vite.

Quando ci ragiono sù i pensieri si accavallano, scalpitano per ottenere il podio della mia attenzione, la priorità. Di solito, quindi, io chiudo gli occhi e respiro. Lascio che a prendere il sopravvento sia la sinapsi più docile, lieve e timida. Quella più rilassante.

Per esempio nel weekend vorrei fare colazione con la treccia al cioccolato.

martedì 24 novembre 2015

Marescialli, Cavalli e vecchie russe

Alla fine ieri sera sono arrivata a casa con un'emicrania olimpionica, un accenno di cagotto e le gambe che facevano giacomo giacomo, sempre che questo voglia dire qualcosa nell'idioma comune. Nel caso in cui la risposta sia no: con le gambe molli e tremolanti. Per stemperare la tensione e il senso di vertigine, che alla guida di un'auto potrebbero essere fatali, mi sono messa a cantare in macchina di ritorno dal lavoro. Avrei preferito di gran lunga il vecchio, lercio bus Cotral che mi avrebbe concesso di schiacciare un pisolino ma lo sciopero h24 mi ha costretto al volante, con lo scazzo a palla e l'occhio stralunato alla Crudelia Demon.

Ho dormito tanto e bene ma non ho recuperato. Sarà perché non mi sono concessa una mezz'ora extra e mi sono fiondata in caserma, per la denunicia di smarrimento del mio token.

Token? Si chiama proprio così?



Controllo su Google

Di preciso non so cosa il maresciallo abbia trovato ma sul foglio, alla fine, ha scritto in data imprecisata ho smarrito la mia penna USB token della banca.

Meglio un'informazione ad minchiam in più che una in meno.

Uscita dalla caserma ho preso il primo bus e sono arrivata in stazione con mezz'ora di anticipo. L'ho passata da Sephora nel vano ed ennesimo tentativo di trovare un degno sostituto di Serpentine, il profumo di cui mi sono perdutamente innamorata a vent'anni, per caso, e che non avrei mai sostituito se non fosse, con mio immenso cordoglio, andato fuori produzione ormai parecchio tempo fa. Il commesso m'ha spacciato My Burberry. Lì per lì m'è piaciuto. Lì per lì a me i profumi piacciono tutti. E' nel corso delle giornata che inizio a odiarli. Così, nonostante qualche pressione di troppo, ho resistito all'impluso di comprarlo facendomi lasciare un campioncino in cambio della promessa che sarei tornata l'indomani. Frenare il mio istinto è stata cosa assai saggia visto che ora, alle sette passate di sera, vorrei strapparmi la pelle dei polsi per non sentirlo più e continuo a chiedermi cosa c'azzecchi quest'aggressività che ti sfonda le froge con la morbida e sensuale mescolanza di agrumi che caratterizzava il compianto Cavalli.

Prima di iniziare il turno, come ultima commissione, mi sono chiusa in uno di quegli orrendi gabbiotti di plastica per fare le fototessera che vedrò, per i prossimi anni, nella mia Carta d'Identità. Al sesto tentativo la voce robotica del computer s'è stranita, mi ha fatto capire che non avrebbe più concesso indugi. Ho scelto, presa dal panico, l'ultimo scatto. Paro russa e vecchia. O forse lo sono. E c'ho sempre l'occhio stralunato alla Crudelia Demon.

lunedì 23 novembre 2015

Derive tecnologiche e drammi digitali

A farmi prendere bene il lunedì manco c'ho provato stavolta. Sfido chiunque ad essere di ottimo umore quando una delle tragedie più cruente del'uomo contemporaneo si abbatte senza remore sul quotidiano grigiore di un giorno di fine novembre. Il mio hard disk s'è sminchiato. A nulla sono valsi disperati e reiterati tentativi, frutto di consigli pescati su forum di smanettoni, di salvargli la vita o, quantomeno, recuperare anni di dati. Aveva dato, a onor del vero, qualche avvisaglia. Sottovalutarla è stato fatale. Le mie speranze ora risiedono nelle mani d'oro di un collega che ha mitigato il suo naturale ottimismo nerd con un faccio il possibile ma non garantisco. Che nella mia lingua vuol dire: rassegnati.

A dare forfait non è stato solo il fedele depositario delle mie memorie digitali. In pochi giorni ben due mouse e un caricabatterie hanno smesso di funzionare. A riequilibrare solo parzialmente il bilancio delle perdite c'ha pensato la tv della camera da letto, quella colpita da una saetta, che dopo il cambio d'un fusibile e una piccola modifica non meglio specificata, ha ricomiciato a trasmettere immagini.

La mia sbadataggine ha completato il quadro. Ho perso il token Unicredit, già scaduto e in procinto di essere sostituito. L'ho rimosso dal mazzo di chiavi pensando di fare cosa buona e giusta, credevo di essermelo messo in tasca. S'è smaterializzato. Speravo, visto che non funzionava già più, di poter evitare la denuncia di smarrimento e prenderne direttamente un altro ma l'impiegato della banca stamane al telefono è stato incorruttibile e lapidario: la denuncia va fatta.

Mentre cerco in malomodo e pure di malavaoglia di far fronte a queste piccole grandi sfighe quotidiane, lotto col sonno accecante del lunedì, quello da post notte bianca. Mitigo rupetuti sbadigli con un tono di voce squillante e in barba al cuore bellerino mi drogo di caffeina.

La cosa davvero avvilente è la costanza con cui i miei tentativi di lotta contro l'insonnia falliscono miseramente, seguendo sempre la stessa deprimente prassi.

Le cose vanno più o meno così. C'è questo gregge di pecore, hanno un'espressione gaia e la lana morbida e soffice, come le nuovole. Una alla volta saltano la staccionata. Il balzo è deciso, precedeuto da una breve rincorsa. Io le conto. Alla terza decina decidono di variare il salto. Alcune, come ballerine, lo fanno sulle punte, altre usano il bastone da salto in alto, altre ancora si esibiscono in tripli carpiati, qualcuna, più timorosa, prende la rincorsa più volte. Di solito a questo punto compare il cane, un pastore maremmano che mi fissa con la lingua penzoloni. Poi le pecore inziano a colorarsi. Diventano rosse, gualle, blu, viola. E' a quel punto che la smetto con le smanie da pastorella e inizio a concentrarmi sulla respirazione. Provo a rallentarla e mi focalizzo sugli impulsi elettrici degli assoni, me li immagino, ci parlo rallentate, diavolaccio, devo dormire!. Stremata, alla fine, mi alzo. Memore di aver letto da qualche parte che l'unico modo per sconfiggere l'insonnia è smettere di combatterla.

Così stanotte alle due ho fatto una ricerca su contratti coccodè, versamenti previdenziali e f24.

Mi sono addormentata sognando la busta paga, il bonus renziano e le 300 euro di ritenute.

giovedì 19 novembre 2015

Rosso, giallo, verde

Ho messo la sveglia troppo presto, temevo file e metafile invece con lo zeroquattordici ho atteso, forse, tre minuti e alle otto e un quarto col referto del pap test in mano ero già fuori dal Fatebenefratelli.



Rincuorata dall'esito negativo mi sono concessa una colazione abbondante, per la verità non troppo buona e poi mi sono concessa la Roma della movida che la mattina presto ha tutto un altro fascino. Trastevere sonnecchiava e io pure, mi sono svegliata a poco a poco e mai completamente mentre i vicoli si riempivano dell'odore del pane appena sfornato, quell'odore che non senti mai al Carrefour sotto casa e che sa di buono, di infanzia, di serenità.

Sono entrata in Santa Maria e ho fatto una cosa che non facevo da un po': pregare. Non ne sono mai stata capace, le mie conversazioni col Principale hanno sempre avuto un tono troppo informale. Le mie richieste sono ormai scontate, ripetitive e banali ma a differenza delle altre volte ho chiesto pure scusa facendo appello alla proverbiale misericordia di chi governa, a detta di molti, le nostre vite lasciandoci, però, la possibilità di sbagliare. Come faccio spesso io.




Dopo aver inoltrato la richiesta di perdono per via telepatica sono arrivata a Piazza Trilussa e sono tornata indietro costeggiando le acque verdastre del Tevere che scorreva lento lento, imperturbabile. Il cielo limpido, lo specchio d'acqua, la carezza di mamma Roma.



Ho tagliato corto fino al teatro Marcello, dove due giovani e bionde americane stavano disegnando a matita su un bloc notes, ho attraversato il Campidoglio e il Vittoriano e mi sono confusa tra i turisti passeggiando tra i fori, con la Reflex in mano e gli occhi affascinati di chi, nonostante viva questa città tutti i giorni, non smette di subirne le avances.




Quando cammino trafelata tra i larghi viali del centro schivando l'invadenza delle persone comuni, quando i tempi del bus sono biblici e la metro è una chimera, quando il traffico si mangia buona parte della mia giornata io penso alle mie fuitine, a questi incontri segreti, intimi, amorosi con la mia città. E poi penso a Mastrandea che, intervistato in un documentario su Roma, dice una cosa tipo 'sta città te entra dentro in maniera così forte che quando ero a Venezia ho detto alla mia compagna 'c'ho bisogno de semafero'.


lunedì 16 novembre 2015

Allons enfant

C'era questo signore di mezza età che fischiettava la Marsigliese sulle scale mobili di Termini e io ho pensato ai bambini siriani con la faccia sporca di polvere e sangue. Fuori dalla stazione cinque militari in mimetica e una camionetta. Roma s'è svegliata militarizzata. Arfio Marchini partorisce pensieri banalotti e superficiali su Facebook: forse ci attaccano perché sono invidiosi della nostra joie de vivre. Forse se sei un palazzinaro dovresti continuare a fare il palazzinaro. Il denaro non dovrebbe attribuire a nessuno un potere ed una visibilità sufficienti a conferire autorevolezza a qualsiasi idea di merda.

Un pensiero banale, tuttavia, l'ho partorito pure io stamattina.

Mi sono chiesta se abbia senso questa ricerca spasmodica e disperata di un figlio, se abbia senso mettere al mondo un uomo in un mondo così.

Tutto sommato ho avuto un'infanzia felice, un'infanzia occidentale. Ho avuto latte in polvere, pannolini, omogeneizzati, medicine, la scuola dell'obbligo e Baby Mia. Non ho conosciuto bombe ne spari ma conosco il bello della vita, che poi sarebbe una cosa semplice. La libertà, la salute, il sole in faccia e i pensieri leggeri. Nutro, di conseguenza, ancora speranze. 

Se fossi nata in Francia avrei goduto degli stessi agi e arriverei, con buona probabilità, alle stesse conclusioni: ne vale ancora la pena. Ma se fossi nata in Siria forse abdicherei al ruolo di madre, forse mi arrenderei. Perché non ne varrebbe poi tanto la pena.

Prima di bombardare dovremmo pensare a questo. Alle persone che non hanno più niente da perdere, al fatto che da terrorizzati a terroristi il passo è breve. Al fatto che la prossima volta potrebbe essere solo colpa nostra.

giovedì 12 novembre 2015

Scarpe, corrieri e dolori (censurati)

E' ormai assodato che io e i corrieri UPS abbiamo un pessimo rapporto. Nello specifico loro mi odiano. A ragione. Oggetto del contendere anche stavolta un pacco di Zalando contenente scarpame. Motivo dello scazzo anche stavolta due chiamate senza risposta e un indirizzo (quello della mater) sprovvisto di numero civico, particolare che, a quanto pare, getta nello sconforto i porta pacchi impedendo loro di ritrovare la retta via anche in un paesello di poche anime, dove sarebbe sufficiente fare una cosa piuttosto banale: chiedere.

L'unica differenza rispetto al caso precedente è stata che stavolta sono riuscita a fargli fare marcia indietro a patto che ci incontrassimo a metà strada. Quando l'ho richiamato, per inciso, ero ignuda dinnanzi lo specchio del bagno grande, con la bocca impastata di caffè, il capello appena asciugato e non ancora piastrato, una conversazione a metà su Whatsapp.  Per raggiungerlo ho rischiato di perdere il bus, la vita e la dignità. Fortuna che per allungarlgi i 30 denari ho dovuto solo aprire lo sportello della macchina, senza manco uscire e me ne sono tornata all'ovile con le mie scarpe stringate, un fascio di scuse biascicate ad minchiam e la promessa che la prossima volta lascerò al povero Cristo anche il numero di un fisso.

Le scarpe sono belle, assai fèscion, giusto un poco scomode ma al cuor non si comanda e a Miranda Priestley manco.

Gonfia d'orgoglio per l'acquisto, ho condiviso la notizia con le Sisters che già avevano apertamente manifestato il loro disgusto per il modello.

Gente, la sorellanza certe volte vacilla.

Fortuna che una delle due, quella che ha un problema con gli acquisti compulsivi, mi ha superata con un paio di simil Vans provviste di zatterone, brillantini e, udite udite, pattern leopardato.

Mio marito, per il momento, s'è astenuto da ogni commento. Sarà che siamo troppo impegnati a litigare e a capire cosa ne sarà di questo rapporto. Ma questa è un'altra storia. E spero venga archiviata prima che abbia la possibilità di parlarne.

martedì 10 novembre 2015

Disincentivi

Capisci che la tua vita sta cambiando quando dal marocco tuttaneuro che ti attende, fedelissimo, fuori dalla metro bì, in luogo dell'orecchino fèscion da sterilizzare prima dell'uso a mo di antitetanica, cerchi un portapillole settimanale colorato.

Da quando, giorni orsono, ho scoperto di essere insulino resistente, oltre che mutata geneticamente e pure una crìa dificiente, i miei desideri d'acquisto sono un tantinello diversi dal solito.

Dalla bancarella, in ogni caso, me ne sono andata con tre spazzole leva peli che quando sei cane - gatto munita ti salvano la vita dando fondo alla risorsa di spicci avidamente trafugati all'USI e gelosamente custoditi in saccoccia.

Ho più tardi deciso di cercare l'oggetto dei miei desideri su Amazon, che trionfa dove il marocco fallisce. Lo avrei preso, non fosse stato per la recensione di tale tizio che ne decantava, sì, l'utilità ma riteneva fosse comunque un problema che la madre NOVANTATREENNE e destinataria dell'acquisto non riuscisse a ricordarsi di doverlo usare almeno una volta al dì.

Cercai in un disincentivo. Lo trovai.

Per non rendere vana la giornata mi sono infine decisa a comprare su Zalando le scarpe stringate di cui qui. Hanno un inserto in pizzo e non sono sicura mi piacciano, di certo disincentiveranno mio marito dal fare sesso con la sottoscritta, qualora i calzettoni di lana e il pigiama regalo di sua madre non riescano già nell'impresa.

sabato 7 novembre 2015

Basta un poco di zucchero e l'insulina va su

Succede che a 18 mi metto a dieta. Il mio culo aveva smanie espansionistiche di stampo napoleonico e io volevo disperatamente il fisico di Kate Moss. La cosa funziona così bene che in qualche mese raggiungo quota 49, poi mi assesto sui 53 e mantengo quel peso per anni, senza troppi sforzi.

Ma un mezzo lustro più avanti inizio a soffrire di misteriosi fastidi. Fame tossica sconsiderata e improvvisa, giramenti di testa, sudorazioni, tremolii, annebbiamento da perdita dei sensi. Allora dottor Google non esisteva, nemmeno la mia ipocondria.  Attribuisco, così, tutto alla dieta di qualche tempo prima. Anche la mia intelligenza, come intuirete, era assente illustre.

Nel frattempo mi innamoro, mi disinnamoro, mi innamoro ancora. Studio, mi laureo, cambio lavori, sperimento tutte le forme di precariato esistenti. Mi sposo. Il resto è storia affidata a queste memorie virtuali. Storia che conoscete tutti.

Manca il capitolo riproduzione e la mia vita si ferma.

Ho ritirato oggi gran parte delle analisi pre-fivet. E qualcosa ha ricominciato a girare, qualche tassello s'è ricomposto.

Sono insulinoresistente.

Il che vorrebbe dire che non assorbo bene gli zuccheri. O forse il contrario. Non lo so. Quello che so è che questa condizione è una tra le cause più comuni e, diciamolo, banali di infertilità. E io, che sono sveglia, l'ho scoperto solo adesso.

A Sboccaccio è bastata un'ecografia per sospettare e analizzare. Non gli sarò mai abbastanza grata per questo. Soprattutto perché non voglio diventare diabetica, nonostante questo significhi rinunciare alla Nutella che mo ve l'ho detto me sta a pija un coccolone napoleonico come il mio culo.

Ma non basta mica. Oltre ai casini indotti dallo zucchero mi sono beccata pure l'ureaplasma. Infezione banalotta sì, ma anch'essa possibile causa di infertilità. Se c'aggiungete le tube stappate con lo sturalavandini avrete il quadro completo del colabrodo che è il mio apparato riproduttivo.

Dea della fertilità 'sta nerchia. Sono un disastro. Faccio acqua da tutte le parti. Ho cercato per tre anni una singola, sola, fottuta causa. Me ne ritrovo almeno tre. Qualcuno avrà pure la faccia da culo di chiamarlo Karma.