sabato 29 novembre 2014

Credo che ci voglia un Dio, magari due

Mi sta sul cazzo Checco Zalone. Ha sempre l'ascella pezzata e ho l'impressione che puzzi. Vasco Rossi, invece, lo trovo piuttosto simpatico ma la stragrande maggioranza delle sue canzoni sono prive di contenuto, senso, ritmicamente ripetitive, banali, noiose. Sono delusa da Ligabue che ha mandato in pensione anticipata il se stesso di Figlio d'un cane. Amo la voce graffiata della Nannini, la sua grinta, il suo anticonformismo spontaneo, il nome di sua figlia e il fatto che è lella. Adoro De Gregori ma quando ascolto la strofa e Cesare perduto nella pioggia sta aspettando da sei ore il suo amore ballerina non posso fare a meno di pensare Cesare, cazzo, fatte 'na vita quindi mi viene da ridere, e mi sento una tipa molto poco profonda per apprezzare i suoi testi, un'indegna. De André è genio assoluto ma Dori Ghezzi ha cagato il cazzo e il figlio dovrebbe smetterla con le lampade e con SanRemo.

Non sopporto chi piagnucola su Facebook e chi inizia a usarlo a quarant'anni solo per dimostrare a se stesso prima che agli altri che la sua nuova vita di separato/a è meravigliosa, piena, appagante, felice.

Trovo che la frase amore puro sia inappropriata, usurata, ipocrita. Perché l'amore è amore. E' uno, assoluto, pieno, totalizzante, radicale e sempre puro. L'amore impuro non esiste come non esistono le bombe d'acqua. Sarebbe ora di finirla con l'abuso dei toni sproporzionati, nel bene e nel male.

Credo che gli animali abbiano un'anima. Persino i gatti. Mentre molte persone ne sono sprovviste. Negli occhi del mio cane c'è l'infinito, in quelli di certa gente un soffocante piattume.

Non credo nelle famiglie felici, sono disoneste, ipocrite, prive di brio, comunicazione e apertura mentale. Credo in chi si fa il culo per stare insieme. Credo nelle passioni violente, nei litigi e nelle riappacificazioni sincere e spontanee. Credo in chi si sputa la merda addosso ma poi chiede scusa.

Credevo in noi. Ci credo ancora. Credo che esista da qualche parte un posto in cui saremo finalmente felici. Senza compromessi, rinunce, sofferenze.

Però al paradiso non ci credo. E questo è un bel problema.

                                          

Escape

Il comodo rifugio nell'invalicabile corazza dell'asocialità è una consolidata ed infallibile tecnica a cui non riesco a rinunciare durante i miei lunghi periodi di crisi esistenziale. In realtà indosso questo rassicurante fardello anche in altri momenti ma soprassediamo sennò iniziate a darmi della tipa strana (come fa mia madre da una vita) e io mi incazzo imponendo al mio fegato un'inutile produzione extra di bile.

La questione, permettetemi di dire, è tuttavia più complessa di come appare.

Sì perché io mi chiudo a riccio quando mi sento giudicata, sotto esame. Quando sento addosso sguardi inquisitori e raggi x. Capirete, quindi, che vivere in un paese di 800 anime, dove tutti sanno i cazzi di tutti, è un tantinello invalidante.

Per esempio per me, qui, entrare nella drogheria delle tipe ricce e scontrose è una tortura. In pochi metri quadri di negozio e alla presenza di due persone che, in piedi dietro il banco dei salumi, scrutano con maniacale attenzione i miei movimenti, mi sento in trappola, impacciata, inadeguata e inizio a pensare ai commenti che seguiranno la mia uscita. Commenti su come mi vesto, quello che compro, come parlo, vivo, mangio, respiro.

Forse, semplicemente, soffro di manie paranoiche e quelle due tipe non me se inculano proprio e mentre faccio la spesa in realtà pensano ai cazzi loro ma io non posso fare a meno di sentire sulla mia testa il peso del giudizio.

Egocentrismo. Alcuni lo chiamano così. Persino il mio caro vecchio strizzacervelli lo chiamerebbe così. Rilassate Principe' qua nessuno te pensa, vivi la tua vita.

Pare facile.

A corroborare la mia ipotesi di fondo e cioè che questo paese mi distrugge è il fatto che fuori dalle mura perimetrali del borgo medievale in cui, non per mia scelta, mi sono ritrovata a nascere e crescere sono un'altra. Attacco bottone, faccio battute, rido, scherzo. Socializzo. Proprio così, proprio io.

Ho pensato spesso che il problema non sono io, sono loro. Loro che parlano in dialetto, che fanno gruppo, che sentono forte il legame con la loro terra, le loro olive, la loro piazza, i loro soprannomi, la zampogna, il tamburello, gli sfottò. 

Non è questione di superbia. Non mi sento superiore, mi sento diversa. Mi sento estranea a questa realtà, all'angolo, messa da parte tipo il secchione della classe al ballo di fine anno della scuola.

Grazie, serie americane.

Finché ho lavorato nella capitale la cosa non ha pesato più di tanto. Trattavo questo posto alla stregua d'un dormitorio e pur soffrendo il peso della distanza fisica da forme più evolute di civiltà non sentivo la distanza spirituale. Adesso sì.

Oltre al soffocamento indotto mi si è appiccicata addosso la spiacevole consapevolezza che questo luogo umido e fiabesco mi tarpa le ali. Perché se io non socializzo non evolvo, funziona così per tutti e io non faccio certo eccezione.

Prendere il toro per le corna e tagliare la corda è, per il momento, fuori discussione, fuori dalla nostra portata. In soldoni: non ce lo possiamo permettere.

Ma ho capito che restare qui, per me, equivale a lasciare che la mia moltezza muoia. E io non voglio perderla.

Serve un piano d'azione. Serve una via di fuga.

giovedì 27 novembre 2014

L'avvelenata

Sapete qual è il mio modesto, ininfluente non richiesto (al pari del vostro, del resto) parere? E' che se le cose vanno male, vanno male. E se le cose vanno male io non me ne faccio niente dei il meglio deve ancora venire, sii fiduciosa, porta pazienza. Mai pretendere pazienza a una che la pazienza non gliel'hanno proprio montata. A una che condivide la sua vita co' l'ansia, da sempre. Non è che 'sta cosa cambierà solo perché tu, ottimista col culo dell'altri, mi vieni a spiattellare il tuo inutile, perbenista, scontato e forse pure ipocrita consiglio da rigatterie di speranze a prezzo discount. Per quello ci sono le fortune-teller. Se non sono mai andata da loro non vedo perché
dovrei dar credito a te.

Lo so. Sono un'ingrata, una piagnucolosa inetta che non prende il mondo di petto, una che aspetta, semplicemente, che la fortuna giri. Una che non apprezza quello che ha.

Sarà vero, cazzo ne so io. Non ho il tempo ne la voglia ne le energie per pormi pure questo problema esistenziale.

Però so per certo che se penso alla fame nel mondo non è che me migliora l'umore. A limite mi deprimo di più. Se penso ai bambini africani, ai terremotati dell'Aquila, a quelli che se guardano Maria de Filippi non mi sento meglio.

Voglio lamentarmi, urlare, disperarmi, prendere a pugni un sacco da boxe con su la faccia di quelle meravigliose persone che si sono impegnate pure l'anello della prozia per rendere la mia vita un fottuto inferno.

Voglio gridare al mondo che io NON ME LO MERITO. Che questa è un'ingiustizia bella e buona e che questi tre anni di passione a me, indietro, non li ridà nessuno.

Sono incazzata, asociale, acida, sociopatica, depressa. Sono un soggetto da cui stare alla larga. Non avvicinatevi, non tiratemi su il morale. Non ci riuscireste e io non ho bisogno.



Montagne russe e crisi d'astinenza

Questa storia della laparoscopia l'ho presa bene. Così bene che eventi indefiniti, vaghi, sfuggenti ma dal retrogusto innegabilmente catastrofico popolano le mie notti, condizionando violentemente la mia attività onirica già provata da anni di ansie quasi sempre, tra l'altro, giustificate. 

Incubi, insomma. Incubi che mi vedono protagonista. Su un tavolo operatorio, morente, depressa o disperata mentre ricevo notizie terrificanti, di quelle che vabbè Maria, io esco, ci vediamo nella prossima vita, magari me dice mejo. 

Sarà che la mia ovaia sinistra continua a stalkerarmi appesantendo le mie giornate con piccoli dolori, fastidi, spiacevoli sensazioni. Niente di invalidante. Roba sufficiente, però, a risvegliare le mie paranoie ipocondriache dallo stand-by che in qualche modo ero riuscita, malamente, ad imporre loro.

Nel frattempo la vita a palazzo procede zoppicante. Colpa mia. Quasi tutta. Perché i miei umori continuano a pretendere l'ennesimo giro sulle montagne russe. Sto benissimo, sto malissimo, voglio vivere, voglio morire, meraviglioso il mondo, Modugno vaffanculo. Roba da camicia di forza in cella d'isolamento con le pareti imbottite.

L'USI si adatta, cerca di fare il suo meglio, quasi mai basta. 

Ieri Penelope mi ha aggredita mentre tentavo di strapparle dalla bocca la patata al forno che aveva trafugato dalla teglia appoggiata sul tavolino della cucina. Porto addosso le ferite de guera. Tre buchi sulla mano destra, due a sinistra, graffi sulla schiena. Come potrete facilmente dedurre sono uscita sconfitta dalla truce battaglia. La patata è nascosta in qualche remoto e inesplorato angolo di casa, custodita dal felino alla stregua d'un tesoro.

E' la mezza, ho fatto colazione tardissimo con caffè e cornetto anemico portato in dono dalla Sister O., ho su il pigiama e ho ricevuto una telefonata ansiolitica dalla segretaria del mio commercialista che, ignara del fatto che io sia disoccupata da gennaio, voleva farmi pagare imposte che non mi spettano. 

Sono in astinenza da bonifici in entrata, shopping, Nutella, sesso. Quello fatto bene, quello tossico, zozzo, viscerale, proibito. 

Qualcuno mi passi una tangente, una vincita alla lotteria, zuccheri, scarpe o un gigolò. 




mercoledì 26 novembre 2014

Se telefonando

Ho un pessimo rapporto col telefono. Quando la cornetta è appoggiata al mio padiglione auricolare io generalmente, sudo, cammino a passo spedito verso mete ignote, urlo, gesticolo, apro le finestre. Non sopporto la voce registrata della segreteria telefonica, chi risponde dopo il quinto squillo, chi non risponde affatto, il tutututu dell'occupato.

Immaginate quindi quale tragedia sia stata cercare di mettermi in contatto rispettivamente con Sboccaccio, segreteria del Gemelli, commercialista.

Manco nei miei peggiori incubi. E poi di lunedì. Ma io dico.

Sono riuscita nel mio intento solo dopo un paio d'ore. Quando Sboccaccio, prima di richiamarmi, mi ha attaccato in faccia mi sono sentita la peggiore paziente del mondo, poi però è stato estremamente gentile. Gli ho letto al telefono i risultati dell'ultimo spermiogramma dell'USI, fatto in clinica, corredato di MAR e prova di nuoto. Tutto ok. Ero preoccupata per la morfologia, le forme normali hanno subito un brusco calo ma lui mi ha detto di non allarmarmi.

Quindi sono passata al Gemelli. Ho prenotato l'intervento, mi richiameranno per la preospedalizzazione e nel frattempo si metteranno in contatto con AlterEgo, visto che ho chiarito loro che dovrà essere lei, per sua stessa volontà, ad operarmi.

Mi auguro che i tre mesi di attesa di cui mi ha parlato siano di meno. Sennò aprite le gabbie e preparatemi la camicia di forza. 

Infine il commercialista. Avevo bisogno della P.E.C. perché come se questo bordello di mail, referti, medici e ansie non fosse abbastanza devo pure seguire dei corsi all'Ordine dei Giornalisti. Senza esercitare la professione. Evviva l'Italia. Per l'iscrizione è richiesta la mail certificata. Io ce l'ho, perché possiedo una Partita Iva. Peccato ignori il mio indirizzo.

Frustatemi sulla cripta di Steve Jobs.

Dovrò aspettare domani perché loro stanno traslocando e i PC sono fuori uso. Solito culo.

Tempo impiegato per chiamare, farmi rispondere, cercare di farmi capire: due ore. Necessito d'una doccia e devo chiudere tutte le finestre, che sto congelando.

martedì 25 novembre 2014

Cinque

Le dita di una mano e quelle di un piede, le punte di un pentacolo, le righe di un pentagramma, le stelle d'un albergo di lusso, il numero di ginecologi che ho incontrato negli ultimi due anni.

C'ho la fica di interesse nazionale o forse in una vita precedente facevo la puttana.

Sono andata al Gemelli, dalla dottoressa che m'ha indicato Sboccaccio. E' alta, magra, riccia, roscia, diretta, sincera e così affamata di parole da ingoiarne inconsapevolmente più di qualcuna durante i suoi concitati discorsi. Praticamente il mio AlterEgo.

E' d'accordo con Sboccaccio riguardo la necessità d'una laparoscopia ma a differenza sua m'ha spiegato il perché.

Potrei avere l'endometriosi (effettivamente i miei cicli sono molto dolorosi), le mie tube, sebbene siano pervie, potrebbero avere la stessa forma delle patatine tornado del Mc Donald's o, peggio, potrebbero essere morte, scollegate, in vacanza da una vita perché no. Potrei avere qualche piccola aderenza conseguenza di un'infezione di cui non mi sono accorta o, addirittura, un ovaio policistico sfuggito alle ecografie pelviche che spiegherebbe i miei cicli sì regolarissimi ma un po' lunghi.

Tutto o niente, insomma.

In ogni caso la bilancia costi - benefici pende a tuo favore soprattutto perché sei giovanissima.

Ero scettica all'inizio, lo ammetto.

Non ho fatto ricerche su internet anche se il cursore lampeggiante sulla barra vuota del caro vecchio Dr. Google era assai invitante ma il dubbio riguardo l'effettiva necessità di una operazione, perché di questo si tratta, prima d'una IUI o una FIVET mi ha assalito più volte nel breve tempo trascorso tra una visita e l'altra.

In fondo è un'esplorazione. Potrebbero trovare e risolvere un problema, potrebbe essere un buco nell'acqua.

Però ho deciso di fidarmi di loro, molto più di quanto mi sia mai fidata di SantoSpirito. Sarà che a questo punto non ho più scelta o forse, semplicemente, mi sono resa conto che cercare di sostituirmi ai medici non ha giovato, in questi anni, ne alla mia psiche ne al mio corpo.

Domattina chiamerò il policlinico per fissare l'intervento. Sempre che i risultati dell'ultima analisi dell'USI me lo consentano, in caso contrario si va in vitro. Direttamente.

Detto tra noi, adorati sudditi, non so che sperare.

domenica 23 novembre 2014

Altrove

Quando la spada di Damocle dell'indecisione inizia a pendere sulla mia testa io non riesco a pensare. Il dubbio ha il potere d'assorbire tutte le mie energie vitali, una roba che manco il pandoro intinto nel latte.

Ne ho avuto conferma qualche settimana fa, quando, impegnata com'ero nello scegliere il metodo più efficace per coprire il disastroso effetto del combo ammoniaca-eccessivo zelo nelle pulizie sull'ecopelle del mio divano bianco, ho persino perso interesse per la questione erede.

Sono appena tornata dall'ennesima lunga passeggiata con Biagio. Primo giorno di ciclo, altri soldi da consegnare nelle avide mani di Equitalia, altra furibonda e tragica lite, ennesima conferma di essere parte d'un matrimonio che cammina sugli spilli, in un doloroso equilibrio precario.

Ho appena deciso di chiudere bottega. E sto un po' soffrendo (pure) per questa scelta.

E' l'ennesima rinuncia inconsapevole che alimenta la flebile speranza d'ottenere una qualsiasi contropartita o solo scaramanzia? Non lo so, manco perdo tempo a chiedermelo.

Non si torna indietro. Nemmeno su questo, nemmeno stavolta.

Mi piace la grafica, la piattaforma de laprincesseilservo e sono pure così masochista da spulciare con malato interesse vecchi post. Sofferti, ispirati, sentiti.

Non avrei voluto abbandonare tutto per qualcosa di nuovo.  D'altro canto volevo staccarmi, chiudere davvero, pure con me stessa. Aprire un nuovo blog, sempre privato, da un'altra parte. Altro titolo, altra grafica. Altra vitahahahahaha, te piacerebbe Principe'.
Insomma, eccomi qui. Riparto. Solo da me. Senza filtri, senza lettori.

Cristo che tristezza.