martedì 30 giugno 2015

Il buongiorno ha il pollo in forno

Da un paio di giorni uno sgradevole puzzo di broccolo cotto aleggiava nell'aria della zona pranzo di casa mia. All'inizio sembrava soltanto un leggero, trascurabile olezzo proveniente dall'esterno poi il fetore ha incominciato ad espandersi, appesantendo di molto l'atmosfera fino a rendere sgradevole persino il respiro.

Il mio fiuto finissimo s'è allora messo all'opera in un ossessivo sniffaggio compulsivo al fine di individuare la causa del mefitico odore e porre rimendio. Nel frattempo le nostre fantasiose menti avevano partorito le seguenti ipotesi:

  • cacca/vomito di cane 
  • cacca/vomito di gatto
  • refurtiva di gatto in avanzato stato di putrefazione (il sospetto è caduto su una patata al forno trafugata dal felino tempo fa, su un pezzo di parmigiano, su un imprecisato numero di fagiolini, bocconcini di pollo, cicoria, pomodori pachino. Insomma la nostra gatta è una ladra. Un ladra e un porco)
  • acqua nel sottovaso dell'unica pianta superstite in casa nostra
  • cadavere in putrefazione del vicino che viene solo l'estate
  • cadavere in putrefazione della vittima del vicino che viene solo l'estate. Uccisa in inverno.

Mentre mi figuravo il plastico di casa mia da Vespa perché, si sa, in situazioni di panico l'ipotesi peggiore appare l'unica probabile, mio marito apriva cassetti, spostava mobili, svuotava sacchi dell'immondizia.

Arresi all'evidenza il vicino è un assassino - la vicina ha cucinato broccoli per una settimana ci siamo messi il cuore in pace e siamo andati a dormire.

Stamane la situazione era degenerata.

Un attimo prima di chiamare i NAS ci siamo accordati per la cena.

Metto a scongelare i petti di pol...

E' stato allora che, come un fulmine, la consapevolezza m'ha colta e, implacabile, il ricordo è riafforato limpido sul mio lobo frontale.

Tre giorni orsono, prima che mia suocera mi desse una buona scusa per interrompere la dieta inviandomi dosi formato famiglia di buonissima insalata di pasta, avevo messo due petti di pollo a scongelare nel microonde, poi mai più utilizzato. E li ho dimenticati lì.

Inorridita ho aperto lo sportello e alle cinque e tre quarti di mattina mi sono messa, sgrassatore alla mano e molletta al naso, a pulire e disinfettare tutto. Fortuna che l'ultima boccia di Serpentine ha reso meno sgradevole il mio ingrato compito.

venerdì 26 giugno 2015

Il risparmio intelligente

Nei detti delle nonne risiede spesso la saggezza, si sa.

La mia, per esempio, usava dire che chi poco spende, assai spende ovvero che chi risparmia acquistando un oggetto di poco valore si vede poi costretto a sostituirlo doppiando la spesa perché la qualità e la durevolezza sono fattori indissolubilmente legati al costo.

Non ho mai sposato questa filosofia, anzi. Vittima di mode passeggere e conseguenti gusti ballerini ho sempre preferito spendere poco, comprare male e sostituire un oggetto, che comunque non mi sarebbe più piaciuto l'anno successivo, con un altro.

Mi è anche capitato di pensare che mia nonna non ha vissuto la grande crisi ma ha vissuto il dopoguerra. E che una volta non si era schiavi del consumismo sfrenato e se ti ripresentavi a scuola a settembre con le scarpe dell'anno prima a nessuno veniva in mente di farti passare per emerginato sociale.

Esitono, tuttavia, delle eccezioni di fronte alle quali, di malavoglia, devo arrendermi e metter mano al portafoglio per evitare di spendere assai dopo aver speso poco.

I trucchi, in primis.

Ricorderete il costosissimo rimmel l'Oreal che ho acquistato a fine anno in una piccola profumeria dell'Eur. E ricorderete pure quello, della stessa marca ma di diverso tipo, comprato per 5 euro in una bancarella di Termini.

Bene. Il primo ancora dura. Sudore, lacrime e morte non intaccano la perfezione, la curvatura e la definizione delle mia ciglia. Il secondo, messo per la prima volta oggi, ha gettato le armi dopo solo 4h di sudorazione mista a smog romano e m'ha lasciato con l'occhio da merluzzo impanato.

La categoria dei cosmetici comprende anche un altro oggetto di uso comune per cui non dovete badare (troppo) alle spese: lo smalto.

E' sufficiente spendere una media di 3 euro da Kiko per assicurarsi unghie lucide e manicure perfetta per 4 giorni. Se, però, cederete alla tentazione dei negozietti tutto a 1€, il vostro blu notte (opaco, tra l'altro) non reggerà manco la serata lasciandovi con lo sbecco da cartomante.

Mai, inoltre, risparmiare sulla tecnologia. A favore della mia consistente spesa per l'ormai famigerato HP, la sua terza resurrezione. E' bastato pulire la ventola dai peli canini per renderlo nuovamente snello, veloce, poco rumoroso. Manco si scalda più. Ha subito il terzo cambio di sistema operativo e carica agilmente persino Office 2013.

Infine  il cibo. Che sembra un'ovvietà ma non lo è. Odori, sapori, colori, consistenza e last but not least valori nutrizionali cambiano molto a seconda del costo. Del resto non si può pensare bene, amare bene, dormire bene, se prima non s'è mangiato bene.

E già che ci siete fate pure l'amore bene. Che è gratis.

giovedì 25 giugno 2015

Ascesi (e risalii)

In tutta onestà l'ascetismo alimentare e monetario alla lunga scassa le ovaie. Ma paga. Dopo quasi due mesi di aperto conflitto con lo specchio del cesso, alimentato da sanguinose battaglie, capocciate sui muri, strizzamento di chiappe, panza e maniglioni antipanico, la situazione parrebbe essere migliorata. Il mio pesoforma ideale (e utopico) è ancora lontano e continuo a pensare che sia stato il mio clone magro, anziché io, ad indossare il mio abito da sposa il cui giro vita farebbe sbiancare Kate Moss. O la donna Barbie. Però sono tornata a piacermi (e a sedermi senza sembrare un muffin. O Homer Simpons. O Homer Simpons che mangia un muffin).

Il ritrovamento della shilouette perduta non mi esonera, tuttavia, dal desiderio di acquistare oggetti paraginnici e paramiracolosi, tipo il cinturione vibrante che polverizza l'adipe in eccesso sull'addome in meno d'una settimana.

A frenarmi è l'ascetismo monetario. Duro tanto quanto quello alimentare.

Oltre al jeans skinny a pois ho rinunciato a un numero imprecisato di foulard, qualche borsa, una tuta, un tubino color Tiffany e un maxi dress a righe bianche e nere che fa tanto turista ameriggana a Venezia ed è, pare, il must have di quest'estate.

Unica goduriosa concessione sarà, salvo diverse indicazioni, il mega hamburger che ci concederemo domani, per festeggiare in leggero ritardo il nostro quarto anniversario. Che è oggi.

Non sono tipo da ricorrenze, lo sapete. Gli auguri mi indispongono. Nutro sempre concreti sospetti riguardo la sincerità delle persone che si prodigano per farmeli e poi, come se questo non fosse già abbastanza, mi sento pure un colpa.

Evito di festeggiare. Mi basta sapere che abbiamo retto. Almeno fin'ora.

Sempre e solo io e te

Come ha detto lui.

domenica 21 giugno 2015

Assoluzioni

Stavolta credevo di averla scampata. Avevo interpretato una sindrome premestruale stranamente sottotono come il preludio di un ciclo sereno. 

Mi sbagliavo.

Il primo a rimetterci le penne è stato il sant'uomo che sta prolungando l'agonia del mio vetusto HP. Il pc, che compirà dieci dicodieci anni a dicembre, ha brillantemente sostenuto due tesi di laurea, un esame di stato, 11 stagioni di Grey's Anatomy, due traslochi, tre sistemi operativi e un trapianto di hard disk ma inizia, giustamente, a manifestare i primi inequivocabili segnali di cedimento raggiungendo la temperatura fusione del nocciolo nucleare anche solo quando guardo demenziali video di gatti su YouTube. Me ne sono accorta dall'ustione di primo grado che  riporto sulla coscia sinistra ogni volta che lo uso sulla tazza del cesso.

Il sant'uomo di cui sopra, probabilmente per non compromettere ulteriormente una situazione disperata, al passaggio a Windows 8.1 ha deciso di installarmi, in luogo del vecchio caro Office targato Microsoft, un succedaneo open source che io, però, rifiuto come satana rifiuta la croce. L'ho aggredito motivando la mia ira con l'accusa di non essere stata avvertita d'un cambiamento così importante quando avrei potuto, semplicemente e anche gentilmente, chiedergli di rimediare ringraziandolo comunque del favore e di averci perso un pomeriggio.

Non paga sono passata al martirio del coniuge che prima s'è dovuto difendere dall'accusa infondata d'essere un marito anaffettivo e poi ha dovuto fare da cuscinetto emotivo delle mie nevrosi quando davanti al corpo nudo e perfetto d'una meretrice di Games of Stronz mi sono messa a piangere perché così brutta, grassa e sfatta come mi sentivo non avrei mai più potuto reggere il confronto con quelle chiappe lì.

Oggi è andata meglio. Resto col rimorso d'aver perso buona parte del week end a sputare veleno e piangermi addosso ma sono anche consapevole che la lotta all'ormone impazzito è sempre impari. 

Quindi mi assolvo da sola. E vado in pace.

venerdì 19 giugno 2015

Il riflesso

Mi piace calpestare i sampietrini di Roma la mattina presto, specie quando sono umidicci e riflettono il pallore d'un cielo che non s'è ancora svegliato. Dal finestrino del bus osservo, mai stanca, scenari da cartolina. Assaporo il privilegio di vedere la mia città spoglia, vuota, romantica. E' tutta mia e ne sono gelosa. Non la trascuro per lo schermo d'uno smartphone ma mi diverto a fotografarla.

Quando scendo dal 51 mi giro sempre a guardare il Colosseo, perché alla grande bellezza non è giusto ci si abitui. Ogni passione va alimentata affinché continui a darci il piacere che da lei ci aspettiamo, che pretendiamo.

Mi stanco molto. Le settimane scorrono serrate. Ma la stanchezza mentale degli ultimi anni, aggravata dal lungo periodo, per certi versi autoimposto, di disoccupazione è stata molto più dura da sopportare rispetto all'attuale stanchezza fisica che, a dirla tutta, quasi mi conforta. E' un promemoria del mio essere viva.

Ormai penso alla mia infertilità come una condizione patologica con cui dovrò convivere. L'accettazione è l'ultima fase del processo di elaborazione del lutto ed io, che sono stata per troppo tempo in lutto con me stessa, ho ricominciato ad accettarmi.

Non spero più in una gravidanza naturale. Attendo il ciclo con consapevolezza, quasi serenità.

Le basi su cui poggio ora sono solide, sono state costruite con fatica e con dolore ma non cadranno più.

Questa nuova condizione mi è quasi estranea. Ma non mi spaventa. So di meritarla.

Lo specchio è tornato a riflettermi. O forse non ha mai smesso. Ero io che non mi vedevo più.

venerdì 12 giugno 2015

Felicità soffocate

Gli uomini non cambiano. Quel poco edificante ritratto canoro che Mia Martini dedicò alla specie era estremamente veriterio, seppur incompleto.

Gli uomini non cambiano e neanche crescono.

E se da un lato il loro profilo d'eterni bambini scuote l'istinto protettivo della femmina chioccia nata per accudire, crescere, allevare dall'altro, quando la loro età mentale incide implacabilmente sullo sviluppo dei loro maroni e sulla conseguente capacità decisionale, ammazza il phatos, insieme alle speranze che, per essere alimentate, devono spesso nutrirsi di una buona dose di coraggio.

Tutto questo filosofare, quest'intreccio di parole, questa sfida di sintassi potrebbe, in realtà, riassumersi con una frase:

ma questo perché non va raccogliere i coglioni che ha lasciato all'asilo?

Così la pensa collega Enne a cui, in un momento confidenziale, ho raccontato senza fare nomi la storia di Sister O. e amico G. che, avrete intuito, ha deciso, contravvenenedo alla aspettative di tutti e forse pure ai suoi desideri, di fare un passo indietro perché insicuro sul da farsi.

Sul da farsi. Non sui suoi sentimenti per O.

Il punto è che il vortice d'eventi che ha travolto le loro vite avrebbe, se condiviso, effetti devastanti anche sulle vite di altre persone che, fino ad ora all'oscuro di tutto, finirebbero per sentirsi tradite e di perdere per sempre il rispetto e la fiducia che riponevano in loro.

E' anche vero, però, che è una mancanza di rispetto anche l'omissione e che, forse, la più grande mancanza di rispetto è quella che infliggiamo a noi stessi quando scegliamo, per vigliaccheria, di rinuniciare alla sfida di essere felici, nonostante tutto. Nonostante tutti.


mercoledì 10 giugno 2015

Il brivido della futilità

Adeguare i propri spostamenti ai sempre più frequenti scioperi dell'Atac significa, il più delle volte, arrivare sul luogo di lavoro con largo anticipo.

In queste occasioni lavorare in centro significa, nel migliore dei casi, alimentare la nutrita lista di cose di cui non abbiamo bisogno ma che vogliamo disperatamente a partire dal momento esatto in cui le adocchiamo in vetrina, nel peggiore dei casi spendere soldi che dovrebbero essere devoluti alla soddisfazione dei propri bisogni primari tipo mangiare, bere, pagare la bolletta elettrica, fare lo smalto semipermanente.

Questa mattina, per esempio, avevo adocchiato un paio di jeans skinny a pois da Ovs, ultima taglia 42. Imploranti e quasi a penzoloni sulla gruccia, richiedevano le mie attenzioni. Li ho provati ma non ho ceduto. Che la mia scelta sia stata dettata dall'improvviso crollo di autostima che mi fa vedere grassa e col culo e i fianchi di Kim Kardashian o dal mantra non ne hai bisogno, non ne hai bisogno, non ne hai bisogno che, pare, aumenti la mia dose di autocontrollo, poco importa. Sono una donna che ha rinunciato ad un acquisto. Sono un'eroina.

Per compensare la rinuncia ho comprato dal solito magrebino appostato a Piazza dei Cinquecento un rimmel L'Oreal introvabile, probabilmente perché fuori commercio da qualche secolo, nelle profumerie. Utile, visto che quello che uso attualmente sta finendo, ma, proprio per questo, poco soddisfacente.

Una riconferma dell'essenziale ruolo che il superfluo occupa nelle nostre vite.

Perchè sì, è molto bello essere padroni dei propri impulsi ma mai quanto cedere ad una tentazione provando il brivido della concessione a se stessi di un piacere futile.

martedì 9 giugno 2015

L'equilibrista

Archiviata un'orribile decade strapiena di impegni, lavoro e nuove responsabilità mi appresto a una lenta ripartenza. Il mio organismo è ancora in fase di rodaggio nonostante sia martedì. Del resto il primo giorno della settimana fa schifo, si sa, ma pure il secondo non scherza.

Ho scoperto ieri di avere diritto ad una settimana di ferie a Ferragosto. Forse anche di una seconda ma le variabili sono ancora troppo variabili per poterlo persino ipotizzare. Avere diritto a uno stop lavorativo non pagato è come avere diritto alla disoccupazione. Non ha senso. Queste, dopotutto, sono le regole e a queste, di malavoglia, mi adeguo.

I pomeriggi lavorativi con collega Effe assumono contorni sempre più grotteschi, tutto sommato divertenti. Per interrompere i lunghi silenzi intervallati soltanto dal ticchiettio isterico di tastiere usurate ha deciso di dedicarmi canzoni, una in particolare: Lauretta mia. Ovviamente la dedica non sarebbe tale se Effe non avesse cura di sostituire, in luogo del nome originale, una storpiatura amichevole, quasi affettuosa, del mio.

Collega Enne ha deciso per la terza volta in quattro mesi, ovvero da quando la conosco, di porre fine al suo malato rapporto con A., sposato con prole. La moglie li ha scoperti. Riscoperti, per la precisione. Così lei, visibilmente stanca d'indossare messaline vesti, l'ha scaricato addirittura rassicurando le legittima compagna circa la sua indiscussa proprietà. Come se  un anello nuziale facesse la differenza. Come se, a dispetto di quanto cantava Nicola di Bari, il cuore non fosse uno zingaro.

La piccola Giù, invece, ancora ingnara del doppio tradimento di cui è vittima, pare ce la stia mettendo tutta per rinascere. Ha riscoperto le vecchie amicizie, il rossetto rosso e l'ombelico al vento. Revival, quest'ultimo, che io onestamente mi sarei risparmiata. Ma tant'è.

Fino a qualche anno fa non avrei mai immaginato di vivere tutto questo. In una manciata di tempo ho dovuto capire cosa significa crescere. Le esperienze vissute da spettatrice o protagonista mi hanno scombussolata, segnata, cambiata.

Gli equilibri che cambiano sono complessi da affrontare ma una volta che torni a camminare su una fune,  forte d'una certa sicurezza, nessuno, forse, può tirarti più giù.


mercoledì 3 giugno 2015

Asso di denari

Quando sei la ruota di scorta dell'ultima ruota del carro, le settimane attraversate da un ponte saranno, semplicemente, settimane spezzate che hanno sì, l'innegabile pregio di essere composte da due venerdì ma anche l'indiscutibile svantaggio del doppio lunedì.

Il misero giorno di festa concessovi dal calendario italiano o mariano, che spezzerà la vostra consolidata routine regalandovi un'illusoria sensazione di libertà, lo pagherete caro. Soprattutto se sarete gli unici sfigati a dover circumnavigare il globo. 

Non solo dovrete raggiungere i vostri task con un giorno in meno a disposizione ma anche fare da tappabuchi, barcamenandovi col lavoro di chi, con buona probabilità, è andato a mostrare le sue bianchicce e mollicce nudità a Oxtia o Fregene.

Sono affetta da stanchezza midollare. Mi addormento sui bus e torno a casa strisciando. Se non altro il sovraccarico di lavoro mi ha permesso di uscire dall'anonimato. Non che ne sentissi il bisogno però, si sa, noi donne amiamo essere ricordate.

Un'arma a doppio taglio, la popolarità. Perché il tuo volto si associa alla lode, ma anche all'infamia. Così se da un lato gioisco dei miei discreti successi dall'altro mi intimoriscono le aspettative degli altri. 

Nel frattempo continuo a far di conto, senza risultati apprezzabili. Le nostre finanze non sembrano arretrare, neppure avanzare. Il puritanesimo imposto alla gestione dei nostri denari cozza contro bollette, assicurazioni e regali di nozze. 

Cerco di tenere a bada le mie ansie come meglio posso. Fallisco spesso. Accuso l'USI di avere le mani bucate, compro tailleur in saldo e scrocco caffè.

Dicono che le cose migliori sono gratis. Sarà. A me gratis non m'arriva manco un figlio, pensa te.