sabato 31 gennaio 2015

Terrorismo e altalene emozionali

Facendo ricorso alla pochissima buona volontà rimasta sul fondo del mio barile emozionale, la settimana scorsa mi sono decisa a chiamare AlterEgo per fare la spia renderla edotta riguardo l'esito della visita ginecologica pre-ricovero fattami dal Kappler delle passere di cui qui.

Come sospettavo il tipo è un terrorista e io ho fatto bene a non farmi condizionare troppo dagli scenari catastrofici che mi ha spiattellato in faccia con spocchia e noncuranza.

Stia tranquilla - ha detto AlterEgo - Kappler è uno specializzando del quinto anno, deve averle prescritto di default esami non necessari perché non li ha visti nella sua cartella.

'sto deficiente.

La ricerca pazza e disperata d'un lavoro, una casa e una botta di culo prosegue imperterrita, ma faticosamente. Ieri, per esempio, l'ennesimo crollo emotivo mi ha succhiato energie e voglia di vivere, così ho singhiozzato maledicendo la mia inutilità sul felpone di pile d'un marito fin troppo paziente.

Poi mi sono ripresa, eh.

A provocare il black-out del mio emisfero destro è stata una cacio e pepe. Proprio così. Una stronzissima ricetta che si ostina a non riuscirmi come dovrebbe. Dopo la fallimentare prova number three ho iniziato a pensare cose tipo ecco, non so fare un bambino, non trovo un lavoro e manco so' fare un piatto di pasta. Qualcuno dovrebbe uccidermi.

Continuando a tener fede al mio unico buon proposito annuale, che in soldoni sarebbe semplicemente vivere meglio ho cancellato il numero di Emme, quella che si gode il mio lavoro, la mia scrivania, i miei colleghi e dorme sugli allori dei miei meriti e delle mie competenze.

Quello che ancora mi riesce difficile è cancellare lui. 

Lo farai quando sarà il momento, mi dico. Non riesco a capire se sia una scusa, una proroga o un auspicio.

giovedì 22 gennaio 2015

La principessa Attila

Che la disoccupazione ostinata e costante di uno dei due membri nuoccia gravemente alla salute finanziaria della coppia è cosa, ahinoi, nota. Le famiglie monoreddito non navigano nell'oro, manco nel silver plated

Nel mio caso, però, ci sono delle aggravanti. Tipo la smania di pulito, le manie compulsive e le, purtroppo, frequenti interruzioni elettriche delle comunicazioni neuronali che fanno sì io combini dei casini inenarrabili il cui riparo comporta cospicui esborsi di denaro.

Devo aver già scritto da qualche parte del danno arrecato al mio fescionissimo divano bianco in ecopelle, vittima sacrificale dell'uso spregiudicato et irresponsabile di ammoniaca e olio di gomito. La disastrosa spellatura è stata sapientemente occultata tramite l'uso di un cuscino poggiatesta, così ora la seduta centrale pare un sedile dell'Alitalia. 

Siccome, però, io sono ossessiva e aspiro a un'utopica perfezione degli arredi di casa mia, non dormo notti tranquille perché IO SO che il danno c'è, pure se non si vede.

Da brava formichina avevo, quindi, deciso di risparmiare (sì, ancora di più) per accantonare i soldi necessari all'acquisto di un nuovo divano Ikea. Stima acquisto 2016. Che ce volete fa' c'è crisi e i soldi non li cagano i merli, come si dice da queste parti. 

A forza di impilare euri ed estorcere quote di risparmio settimanali al marito, ero arrivata a mettere da parte una bella sommetta pari quasi alla metà di quella necessaria per l'acquisto. 

Vi dirò di più. Mi ero gasata così tanto da pensare magari con un po' più di tempo, impegno e pazienza potrò aspirare al divano x (assai più caro) anziché accontentarmi del divano y.

Ma si sa l'uomo propone e Dio dispone. 

Stasera ho pulito la macchina. Un impegno apprezzabile per un altrettanto soddisfacente risultato. Fin quando, posseduta da smania perfezionistica, non ho deciso di rimuovere lo specchietto retrovisore per agganciarci meglio gingilli e Arbre Magique. Nel tentativo, tra l'altro fallito, di rimetterlo al suo posto ho dovuto fare un po' di pressione. Un po' troppa, forse. Così troppa da incrinare il parabrezza. Nove crepe a raggiera dal punto del crack. Una tragedia.

Manco a dirlo la mia assicurazione non copre i cristalli e il danno è troppo esteso perché il vetro possa essere riparato. La sostituzione mi costerà sui 150 euri. Se mi dice bene e solo perché quel santo Umile Servo anziché ghigliottinarmi ha trovato un bravo Cristo che ci farà un prezzo di favore.

Ora io non sono un'economista ma, occhio e croce, se non avessi risparmiato e anziché pulire la macchina fossi andata a fare shopping ora sarei più ricca e pure più felice.

Lezioni di vita. 
 

martedì 20 gennaio 2015

Molecole, materassi, noia e cocaina

La chiamano la molecola dell'ansia e pare stiano studiando una tecnica per spegnerla al momento opportuno, quando il panico semina tempeste ormonali e reazioni fisiche esagerate e non necessarie, meccanismi difensivi inutili che possono provocare veri e propri malanni.

Ne parlava un articolo del Corriere stamattina e io, che i meccanismi difensivi inutili li colleziono da un po', sono arrivata alla conclusione che il problema è tutto nella mia testa. Non nel mio utero, non nelle ovaie, non nel mio sangue. Nella mia testa.

Una certezza che è durata poco, in realtà. Come succede sempre con le rivelazioni improvvise. Non reggono alla successiva razionalizzazione, all'analisi dei fatti. Però il dubbio resta. E corrode. 

Il guaio è che, anche volendo, non sarei in grado di posizionare un cartello di STOP davanti la mia amigdala. Cambiare atteggiamento, mentalità, invertire il circolo di negatività è facile solo a parole. 

La verità è che sto perdendo le speranze e il fatto che stia accadendo proprio ora, alla vigilia (si spera) di un intervento e prima di una FIVET, non è una cosa positiva. Forse pure questo è un meccanismo difensivo, un materasso messo lì, sull'asfalto duro, per attenuare il colpo in caso di inarrestabile e rovinosa caduta.

Dicono che la terza decade di Gennaio sia la più dura. Diavolo, dev'essere vero. O forse l'umore che non resiste alla forza di gravità e si spiaccica sul pavimento è solo la solita conseguenza del calo ormonale post-ciclo. 

Di stringere i denti non mi va più, vado avanti per inerzia. 

La noia mi annienta. Più che sulla molecola dell'ansia dovrebbero intervenire sull'adrenalina. Sarebbe di sicuro più interessante, la vita, se tutti la vivessimo come se fossimo sotto l'effetto d'una botta di coca. 

lunedì 19 gennaio 2015

Il Kappler delle passere

Pare che io abbia tutte le carte in regola per spararmi un'oretta abbondante di sonno senza sogni su un lettino operatorio mentre AlterEgo o chi per lei sferruzza le mie budella.

Il ginecologo, il SESTO ginecologo, che si è preso la briga di scartabellare le mie scartoffie al fine di dare l'ok all'intervento, si è meravigliato del fatto che nessuno, in due anni e mezzo, mi abbia commissionato un prelievo di FSH e altre amenità al terzo giorno di ciclo. Io, pupa diligente, ho promesso che farò tutti i prelievi mancanti ma prima, Dio bono, apriteme la panza e rimettete tutto in ordine prima di uscire, plis.

Meticoloso ai limiti dell'ossessione compulsiva, questo Kappler delle passere ha pure pensato bene di esercitare il suo sacrosanto diritto al terrorismo psicologico ipotizzando, durante l'ennesima quanto inutile, eco transvaginale, un ovaio policistico che nessuno prima di lui aveva mai nominato.

Inutile dire che il tipo mi é rimasto indigesto quanto il porpettone de mi' socera.

Fiera della mia pluriennale esperienza in ginecologia per infertili ho deciso di non dare troppo peso a 'sto pupetto dell'ultim'ora perché, insomma, mi sono fatta vedere da un sacco di tipi bravi prima di lui e poi l'ottimismo è il profumo della vita.

Senza dubbio l'anestesista biondino dall'occhietto vispo ha raccolto molti più consensi a corte. Peccato sia sposata, alla fine non sarbbe manco male una storia con uno che ha il potere di tramortirti con un po' di gas.

Soprattutto in momenti come questo, quando t'assale la paura di non essere mai madre e la tua di madre, per cena, t'ha fatto il minestrone.

Fenomenologia dell'attesa

Ho cercato su Google, utilizzando come criterio tipi di azzurro, l'esatto colore della zoccolatura di queste pareti ed è, precisamente, carta da zucchero.

Il display è fermo al numero 15 da un po' ed io, che ho scoperto mezz'ora fa di essere parte di quelli del secondo turno sono qui, seduta su una sedia bucherellata d'acciaio, a sognare il mio caffè.

Le attese ospedaliere, se ben impiegate, possono essere arricchenti. Mia Zia, per esempio, sonnecchia e si ricarica, io, invece, ascolto e costruisco vissuti, che mi piace pensare verosimili, basandomi su stralci disordinati di conversazioni assurde.

Il tipo riccioluto col naso piccolo e dritto che siede alla mia destra ha appena detto alla madre, cardiopatica, che la macchinetta del caffè in questa stanza é dello stesso tipo di quella che sta al commissariato di polizia di piazza della Repubblica, poi é passato a raccontarle delle feste del suo cane ed io gli ho sorriso, pensando al mio.

Mi piacciono le persone che lavorano con entusiasmo, sarà per questo che ho richiesto informazioni non necessarie ad un infermiere zelante. O forse ho un disperato bisogno di comunicare.

Passerò qui buona parte della mia giornata, tanto vale farsi degli amici.

Ho paura degli esiti, mi stupirei del contrario. Sono guarita sí, ma fino a un certo punto. Negli ospedali l'ipocondria non è bandita, la tensione nervosa é tacitamente tollerata. Io la subisco, partorisco scenari catastrofici e poi, per non impazzire, torno a costruire le vite degli altri.

Del resto é sempre meglio che rovinarsi la propria.

sabato 17 gennaio 2015

Distrazioni

La prima cosa a cui ho pensato mentre stavo riordinando again il faldone di referti collezionati in quasi tre anni di ricerche sono stati i soldi spesi.

Insomma io vivo con poco, non ho mai avuto grandi pretese, non mi piacciono le firme, vado di rado dal parrucchiere e dubito ripeterò l'esperienza dello smalto semipermanente perché sì, è molto bello, ma l'ora e mezzo che c'è voluta per toglierlo e il rovinoso stato in cui versano ora le mie unghie non valgono tre settimane di manicure impeccabile. Però, ecco, spendere denari dovrebbe essere divertente e col cazzo che è divertente farsi svenare, aprire le gambe davanti a sconosciuti, sottoporsi a qualsivoglia tipo di tortura medica autorizzata dalle Nazioni Unite.

Poi ho pensato, semplicemente, che sono stanca. Me la sono sentita proprio tutta addosso, la stanchezza. Così, all'improvviso, senza avvisaglie di sorta, quasi senza che ne fossi pienamente cosciente. Un peso sulla schiena, dietro il collo, appena sopra le scapole. Un peso che ho alleggerito con uno sbuffo, un'alzata d'occhi al cielo, qualche imprecazione.

Mentre mi trascino, stremata, in questo limbo senza fine, mi nutro delle belle notizie che, per fortuna, arrivano. Come quel pupo nato dopo 7 anni, un'operazione, due FIVET, un raschiamento. O quella gravidanza tanto ambita, arrivata sulla soglia dei quaranta. Io mi siedo, respiro e spero. Se ce l'hanno fatta loro ce la faccio pure io. Oppure no. Devo esser pronta a tutto, pronta al peggio. Un peggio che non riesco, ancora, neppure a immaginare. Perché io senza figli non sarei manco più io.

E' così che il mio flusso di coscienza chiude il sipario. Si distrae per non affrontare il pensiero d'una possibilità dolorosa, la più dolorosa di tutte. E' così che, generalmente, mi riprendo.

Metto a fare il tè; facciamo la brace per cena?; alla fine quel cagnone nero l'hanno adottato, eh; Cofferati l'è sempre un bell'omo, non credi?

Finché tè, fuoco, cani e Cofferati mi distrarranno, temo che non riuscirò ad affrontare quell'idea.

Anzi, vi dirò di più.

Pure se Cofferati non fosse eterno, se il fuoco si spegnesse, se i cani iniziassero a camminare sulle zampe posteriori, se il tè sapesse di latte io troverei altri argomenti, altri modi per distrarmi e non pensare a me senza un figlio.

Sono fatta così, procrastino a data da destinarsi i cattivi pensieri. E poi dicono che sono pessimista.

martedì 13 gennaio 2015

Closing

Ieri mattina, giusto per esser certa di non essermi beccata una polmonite una settimana prima della preospedalizzazione per l'intervento che darà il via ufficiale al mio percorso di procreazione medicalmente assistita sapete com'è, sono un tipo fortunato, mi sono recata, con ZiaSanta, Mina e le loro annuali bronchiti asmatiche, da quello strano doc sempre abbronzato, che respira e bocca aperta e c'ha pure una cifra di borse sotto gli occhi.

Sei sana ha detto hai solo una tracheite

Che a me non pare proprio la stessa cosa che esser sani ma ci accontentiamo.

Stamattina mi sento meglio. Quindi non ho più potuto ignorare la coltre di peli canini sul pavimento, la tazzina sporca del caffè di ieri sul pianale della cucina, la lettiera della micia trasbordante di cacca.

Come se tutto ciò non bastasse a scuotere il mio precario equilibrio interiore Biagio ha pensato bene di svomitazzare su coperta, piumino, copripiumino, ciabatte dell'USI e pavimento. Tutto in un solo colpo. Son doti.

Ho inviato diciassette curricula e ricevuto un'inquietante telefonata da cugina L., a spasso con la sua amica paparazza, che, alla ricerca di informazioni succulente che mio marito avrebbe, a detta sua, saputo fornirle, mi ha dovuto confessare d'essere in quel di Nepi e di aver tenuto all'oscuro della sua scappatella adolescenziale suo marito, i suoi figli, mia zia.

Io ho pensato che mi piacerebbe essere come cugina L. e che, effettivamente, rispetto solo a tre anni fa, oggi sono molto più simile a lei di quanto mi ostino a negare a me stessa.

Ad ogni modo il mio personalissimo e difficile percorso verso la liberazione da doveri inutili, perbenismi e freni inibitori è ancora lungo.

Per esempio nutro ancora delle ritrosie al pensiero di andare a correre da sola sebbene continui ad incappare in foto di culi sodi e provi vergogna per lo stato in cui tengo il mio, a digiuno da squat e cyclette da almeno 3 mesi.

La dieta, tuttavia, continua senza troppe concessioni. Per il momento, visto il mascarpone in scadenza, ho ceduto solo a due fette di una cheesecake all'italiana frutto di una ricetta datami da un mio ex collega.

Al mio ex lavoro ci penso, ma ci penso meno

Ho la sensazione che questo capitolo così complessivamente assurdo della mia vita si stia chiudendo in via definitiva.

Sono stati gli anni più belli e quelli peggiori. Anni di sofferenza, scelte, rinunce ma anche di crescita, consapevolezza, riflessione, introspezione.

Non posso controllare il futuro, ne prevederlo. Non so cosa succederà so solo che, comunque vada, sarà qualcosa di nuovo. Un capitolo nuovo.

domenica 11 gennaio 2015

Self respect

Quando cerchi una gravidanza per anni e ti sbatti tra stick ovulatori, calcoli astronomici, invasioni barbare della tua intimità e del tuo intimo, prelievi di sangue, prelievi di sperma, prelievi bancari, prelievi di serenità capita che sviluppi un certo sesto senso per quelle fortunelle spesso incappate per caso nella doppia striscia, che ansimano zompettando nella tua direzione, smaniose di venire a dire a te, proprio a te, la grande notizia.

Sono incinte.

Tu lo sapevi, prima ancora che aprissero bocca.

Se, per esempio, una tua vecchia amica universitaria ti contatta dopo mesi, smaniosa di organizzare una pizzata in onore dei vecchi tempi e ti prega di esserci perché non tornerà a Roma prima del 2016 tu capisci.

E' da lì che parte la tua sofferenza. O rosicata, chiamatela un po' come ve pare. I perbenismi lasciamoli ai finti cattolici.

Poi ti ravvedi, ti dai della paranoica.

Dura poco.

Generalmente fino a quando ricevi sul tuo smartphone la foto di lei in posa su sfondo marittimo con la panza al vento, in bella vista. Una panza, tra l'altro, già in avanzato sviluppo procreativo.

E siccome esser la sfigata con 38 di febbre che batte i denti in pigiama antistupro e mocciolo al naso davanti al camino non basta, decidi pure di farti tornare in mente proprio quell'ultima conversazione in cui lei, candida, diceva che no, per i figli non era proprio pronta, giammai, fuori da questo corpo.

Fai due conti. Era sei mesi fa. Lei è incinta di cinque.

Ti senti un tantinello presa per il chicchero. 

Decidi che alla cena non ci andrai. Perché fa male. Perché puoi evitarlo. Perché non faccio cose che non mi va di fare è l'unico buon proposito da rispettare per quest'anno e non hai nessuna intenzione di continuare a tradire te stessa.



giovedì 8 gennaio 2015

La dieta del sette

Come tradizione impone dal 7 gennaio ho iniziato una dietahahahahahah. In realtà volevo semplicemente reinterpretare in chiave salutista la mia alimentazione. Sia ben chiaro: non mi converto alla soia, ne al kamut, ne al credo vegano. Sono figlia di mater italica, del magna che te passa, del meglio due kg in più che due etti in meno, del grasso è bello, del 'sto pupo nun me magna dotto'. Non posso rinnegare le mie origini ne gettare alle ortiche anni e anni di crociate materne volte ad evitare la mia denutrizione. Sono piuttosto sicura che due fette di salame non abbiano mai ucciso nessuno, a parte il maiale, ovvio. Dio quanto scassate voi devoti della carota! E sono anche certa che morirò prima di salmonella che di Nutella. Persino le mie diete più rigide hanno sempre compreso il cioccolato, la pizza margherita, la pasta all'ovo.

Però questo Natale ho esagerato. E se il Natale se lo semo levati dalle palle i kg no. E il gonfiore manco.

Non avendo quindi intenzione d'essere eletta miss pappagorgia dell'anno ho deciso di correre ai ripari.

Non sono certa di averlo fatto nel modo giusto, men che meno nel modo salutare.

Per esempio ieri, in preda a deliri febbrili, mal di gola, tosse, ho pranzato con un tè caldo e un torroncino ricoperto di cioccolato bianco, saltando la colazione. Alle quindici in preda a deliri famelici mi sono attaccata all'unica cosa pronta che avevo in frigo: pecorino a tocchetti portato in dono da amico ignoto del nuovo uomo di mia sorella la sera di capodanno e noci. Per cena riso in bianco. Applausi per me.

Oggi a colazione non ho potuto proprio rinunciare al pandoro Bauli. Fortuna che a pranzo ho mangiato solo pizza e salame.

Siccome sono una che non molla, manco quando la via della perdizione parrebbe essere senza ritorno, ho deciso di rimediare allo sgarro cenando con merluzzo al forno e cicoria.

Peccato per quel salame avanzato in frigo. Peccato per quel pezzetto di pizza bianca avanzata nel cassetto del pane.

Peccato per quel momento di sconforto che mi ha colta alla sprovvista. Peccato.

Di questo passo oltre al titolo per la pappagorgia mi daranno anche un riconoscimento per le maniglie dell'amore, la panzetta cinquecentesca, il posteriore a prosciutto.

Per le tette no, quelle non crescono. Mai.

domenica 4 gennaio 2015

Only the brave

E' agganciato con 4 fascette da elettricista sulla ringhiera perimetrale, in quel piccolo spazio tra l'angolo e il cancello d'entrata. C'è scritto vendesi. L'ho appeso senza pensare, senza inutili sentimentalismi. Forse perché nutro, in verità, poche speranze riguardo la possibilità di vendere davvero quella casa, forse perché la decisione è stata frutto di qualche discussione, forse perché ho promesso a me stessa di tagliare col passato, con la tristezza, con la nostalgia e di raggiungere i miei scopi con qualsiasi mezzo, purché funzioni.

La mia immaginazione preme su scenari idilliaci, io mi lascio andare, coccolo felicità potenziali e speranze e poi torno sui passi, decisa a non volare troppo in alto, a non farmi toppe illusioni.

Per qualcuno la ricerca di una gravidanza, di un lavoro e di una casa è un progetto troppo ambizioso, non per me. Io ho smesso con le mezze misure, con la cautela, con i pro e i contro. Voglio tutto, non importa quanto tempo ci vorrà e sono stanca d'essere immobile. Non voglio metter radici, fermarmi, aspettare. Perché se ci sono attese che non si possono evitare ci sono anche azioni che possono compiersi subito, nettamente e indipendentemente dal risultato.

L'anno passato è stato l'anno del riposo, della riflessione, della consapevolezza. Ho fatto i conti me stessa. Conti che per 30 anni ho rimandato, ignorato, schivato. E' stata dura e ho toccato il fondo, raschiandolo, parecchie volte. Ma la me che piange sul pavimento del bagno facendo a pugni col muro non c'è più.

Adesso sono pronta per l'azione, per il movimento. Sono pronta ad avere coraggio.


venerdì 2 gennaio 2015

Buoni propositi manca(n)ti

Ma questa cosa dei buoni propositi la possiamo bypassare o dobbiamo ciucciarcela per forza per poi essere aggrediti dai rimorsi il 21 gennaio?

Ventuno gennaio, non una data a caso. Ho letto da qualche parte sì sono sempre assai accurata nella citazione delle mie fonti, non per niente sono una giornalista che la terza decade del mese che inaugura il nuovo anno è in assoluto la peggiore. Vacanze natalizie appena smaltite, vacanze estive miraggio lontano, freddo, buio pesto alle cinque del pomeriggio e primi fallimentari bilanci fanno di quella settimana la bestia nera dei nostri umori.

Io quindi come minimo mi ficco in doccia e mi tagliuzzo le vene con la Gilette dell'USI.

Due giorni di 2015 e a me già girano i maroni. Due notti in bianco, due sì sono solo due non indagate oltre, profani kg in più e lo smalto semipermanente che manifesta i primi inequivocabili segni di cedimento. Una roba che oggi, durante il mio rilassante giretto dar cinese sotto casa, sono stata seriamente tentata d'acquistare un fornetto per la cottura delle unghie. No, maschi, non è uno strumento di tortura di stampo staliniano, solo l'ennesima dimostrazione di quanto la femmina del duemila abbia imboccato la via a senso unico della regressione evolutiva.

Ho comprato il par de scarpe nove di cui avevo bisogno, uno stampo da plumcake e il cartello vendesi. Forse è il primo passo verso una via di fuga, forse l'ennesima perdita di tempo ma la decisione pare presa. Ci vuole solo un po' di coraggio. Una delle nostre case verrà messa in vendita nella speranza di racimolare qualche dinero con cui poter pensare all'acquisto di una casa in città. O giù di lì. Diciamo in uno di quei bordi di periferia dove i tram non vanno avanti più che però sono sempre meglio della provincia, del Cotral, del traffico sul tratto urbano dell'A24, dell'autostrada a 4 e 70, del ghiaccio, della neve, delle catene a bordo obbligatorie dal 14 novembre al 14 aprile.

Ad esser sincera io quest'aria di cambiamento non la sento. Forse perché ho paura.

Pensare al nuovo anno come a una chance di miglioramento mette addosso molta carica, pensare al nuovo anno come occasione di ennesimi fallimenti atterrisce.

Così io penso ad altro, fischietto e svago.

Siamo nel 2015? Toh, non me ne ero accorta.