Venerdì mattina mi sentivo figa e in armonia con le pieghe dell’universo e coi suoi contorti disegni astrali, tanto da pensare, in viaggio verso il lavoro, che una cazziata sarebbe stata una stonatura.
In effetti la cazziata non è arrivata anche se quel sottile senso di inadeguatezza, retaggio di chissà quale trauma infantile, non si è scollato dalla mia pelle per tutto il giorno a conferma della teoria sul mio errato rapporto col concetto di errore ed infallibilità. Roba che vorrei conoscere il responsabile della mia insicurezza cronica a prenderlo a randellate sui denti, viulentemente.
Il mio vero o presunto, piccolo o grande errore sul lavoro non è stato l’unico della settimana.
L’altro l’ha commesso mio marito quando pur essendosi accorto che il colore delle pareti non era grigio ma azzurrino ha continuato, imperterrito e senza avvertirmi, il suo lavoro di imbianchino. Così adesso ci ritroviamo con mezzo salotto color zoccolatura ospedaliera.
Io, che sono avvezza al problem solving, l’ho presa bene.
Asciugate le lacrime ho pensato che la soluzione migliore sarebbe stata anche la più semplice: tornare al bianco, in barba al fescion interior design e alle menate da sciura milanese.
Vani sono stati i tentativi dei miei famigliari per convincermi che sì, quel colore non era proprio come me lo aspettavo ma sembra di stare in mezzo al mare, che vuoi di più?
Domenica pomeriggio, quindi, armati di pazienza e buona volontà siamo tornati da Leory Merlin. Abbiamo preso un grigio perla perché siamo caparbi e confondiamo facilmente le buone intenzioni con le buone riuscite.
Dopotutto la soluzione semplice è spesso la migliore ma anche la più noiosa.
Di questo passo rientreremo a casa, con buona probabilità, a ferragosto. Speriamo solo che mia suocera non reclami l’usufrutto della sua dimora o che, peggio, venga a dormire con noi.
La sfida del grigio è già abbastanza, direi.
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