venerdì 25 marzo 2016

Compartimenti stagni

L'ho rifatto.

Perché sono una fedigrafa digitale,
perché credo che ogni momento debba avere un suo spazio,
perché, magari, c'è pure chi non è interessato alla mia attività ovarica e alla smania riproduttrice,
perché, soprattutto, ne avevo bisogno.

Non scriverò nulla del percorso che sto per intraprendere, non qui.

L'indirizzo del blog che ho deciso di dedicare solo a quel racconto è pubblico ma non lo scriverò.

Se vorrete potrete chiedermelo per mail, sempre la stessa: diariodiunaprincess@gmail.com 

Ho dovuto rispondere al bisogno di scriverci su ma devo anche assecondare la necessità di proteggermi.

Continuerò a scrivere qui. Perché ho una vita aldilà della FIVET anche se, come comprensibile, per un po' questa esperienza assorbirà tutto.

Come sempre vi amo,
vostra Princess

martedì 15 marzo 2016

Il raziocinio del caso

Nel disperato tentativo di incasellare nelle fitte trame della ragione l'irrazionalità sbeffeggiante del caso, cresciamo con la convizione che tutto accada per un motivo, tutto a suo tempo.

Io non ci ho mai creduto.

Sono profondamente insicura, lo sono da sempre. E questa immensa falla del mio io mi spinge spesso, anche inconsapevolmente, a cercare l'adulazione degli altri. Poco importa se gli altri sono piccoli, stolti, limitati. Importa solo che si sentano sicuri. La sicurezza da loro un vantaggio. Allo stesso tempo, però, sono tremendamente cocciuta. E superba. Così superba da farmi possedere completamente dalle mie convizioni per rendermi conto solo dopo molto tempo, molte sofferenze e una sterminata quantità di prove, che erano totalmente inesatte.

Riflettevo oggi, per esempio, su quanto tempo, ultimamente, mi sia trovata a passare in compagnia dei camici bianchi. Non solo quelli deputati alla mia riproduzione. Ho incontrato oncologi che mi hanno parlato dell'immunoterapia come nuova frontiera nella cura per il cancro, esperti di malattie rare, medici del lavoro.

Lei aveva un viso anonimo che con buona probabilità dimenticherò in fretta. E' stata molto dolce e troppo meticolosa. Ha avuto qualcosa da ridire sulla mia colonna vertebrale, non perfettamente allineata. Ha scritto sul referto che ho una lieve lordosi, che col tempo potrebbe peggiorare e che consiglia il nuoto. Ci ha aggiunto che i miei occhi sono perfetti, giusto un po' stanchi e mi ha raccomandato di passare meno ore al pc. Se non lavorassi sul web, certo, funzionerebbe meglio.

Ho concluso la seconda visita aziendale della mia vita in vergognoso ritardo, con Capetta che mi attendeva ansiosa di finire il suo turno prolungato e scappare da sua figlia.

Se mi fossi ritrovata circondata da altrettanti medici, se avessi dovuto affrontare spauracchi come visite, referti, convegni sul cancro anche solo un anno e mezzo fa, probabilmente oggi sarei rinchiusa in una stanza bianca con le pareti imbottite e la videosorveglianza h24.

Ma tutto, pare, accade per una ragione. Tutto a suo tempo. Ogni cosa insegna e più la lezione è dura più il risultato sarà soprendente.

Io, per esempio, sono stupita di me stessa. Perché l'ipocondria c'è sempre, nascosta sotto uno strato di nuove consapevolezze e di una rinnovata sicurezza, pronta a saltar fuori quando mi fa male un ginocchio, a prendersi gioco della mia intelligenza quando confondo un bernoccolo con un linfonodo, la PMS col disturbo bipolare. Ma non governa più le mie giornate. Finalmente piene, finalmente libere, finalmente MIE. Mie soltanto.

Forse mi sbagliavo, insomma. Forse pure le cadute servono. Così come le attese, gli errori, i fallimenti. Forse non è solo una storiella che amiamo raccontare a noi stessi per coprire le nostre negligenze.

Perchè un anno fa non avrei trovato divertente Sboccaccio che al telefono, dopo che gli avevo chiesto lumi sull'assenza del piano terapeutico propedeutico, a detta di Negnente (il mio medico di base, per i più smemorati), alla prescrizione di un farmaco, mi ha risposto così:

Il piano terapeutico per quel farmaco serve solo nel caso di cancro alla prostata

Per carità dotto', non lo nomini neppure

Che te frega, tu manco ce l'hai la prostata!

mercoledì 9 marzo 2016

Right here, right now

Strana, l'attesa.

Dilata il tempo, snerva, confonde e poi quando non c'è più, manca.

Cazzo, manca.

Ci avreste mai pensato? Io no, affatto. Perché sono una decisionista, una che prende il toro per il culo, oltre che per le corna, una che non ama sguazzare nel mare infinto di possibilità. Meglio la certezza, la terraferma, il pragmatismo.

Noi romani, sapete, ci prendiamo poco sul serio. Prendete gli insulti, per esempio. Ne facciamo uso e abuso ma, quasi mai, con l'intento di offendere. Mortacci tua è un intercalare, stronzo può persino essere un attestato di stima, un sinonimo poco elegante di scaltro, furbo. 

A me gli stronzi piacciono.

Sboccaccio rientra nella categoria.

Semo dimagriti eh? Ha esordito stamane, in tono canzonatorio.

Mortacci tua dotto', sì. Ma vojo 'a carbonara. La vojo mo', portamela!

No, non ho parlato. Nutro sempre un reverenziale rispetto per l'uomo che preleverà i miei ovociti. Ma l'ho pensato, avoja se l'ho pensato.

Cosa mi aspettavo? Una contrattazione. Pillole e dieta per un altro mese, magari due. Però poi abbasta. Lanciamo 'sto dado, passiamo il Rubicone, facciamo qualcosa.

Ero lì, seduta, solo in apparenza rilassata. Covavo lava, sul piede di guerra.

E lui ha contrattaccato, mi ha colto di sopresa, mi ha disarmata.

Cominciamo. Ultimo ciclo?

C... co... come adesso, cioè... 'sto mese?

Ultimo ciclo

25, 26 'spe dotto' c'ho la App!

Il ventunesimo giorno è il 17. Se sei scaramantica facciamo il 18. Inizi con due pasticche al dì, continuando la terapia per l'iperinsulinemia. Al ciclo chiama. Ora facciamo un controllo ecografico.

Di preciso non lo so quanto c'ho messo ad alzarmi dalla sedia. A smutandarmi di sicuro poco.

Ottimo!

Le mie ovaie, chissà perché, suscitano sempre smisurata ammirazione.

Sei piena come 'n ovo!

Forse non si sarebbe offeso, a ben pensarci, per un mortacci tua.

Devo ripetere gli esami infettivi, l'emocromo, fare un ECG. Di fretta. Senza pensarci, senza aspettare.  Di punto in bianco, senza scuse.

E non lo so se quello che sento di chiama paura ma, all'improvviso, non ho più certezze. All'improvviso mi manca l'attesa, l'incerto, il mare di possibilità. 

lunedì 7 marzo 2016

Costanti e costanza

Lui aveva occhiali spessi di vetro scuro e il fascino colto della saggezza. A lui devo gran parte di quel che riesco a far passare di me, quando scrivo. Mi ha insegnato a scavalcare i muri della retorica, ad oltrepassare quelli della fantasia senza, però, l'esigenza di dover inventare. Ho scritto, grazie a lui, roba mia. Non solo e non più roba a modo mio. 

Sotto stress - soleva dire - dai il tuo meglio.

Come se la polvere di fata ce l'avessi in fondo al mio barile esperenziale e iniziasse a diffondere la sua luccicanza quando eccitazione, paura, gioia, rabbia, disperazione e, alla fine, stanchezza, le lasciano quel poco di spazio che resta.

Sarà per questo - pensavo stamattina - che per scrivere bene ho bisogno di essere stanca. Funziona qualsiasi tipo di stanchezza, fisica o emotiva.

Lui è stato il mio professore di lettere per due anni, quarto e quinto liceo.

Chissà se la sua opinione di me cambierebbe se mi rivedesse, adesso che non sono più quella ragazzina idealista, emotiva e così superba da essere convinta di poter ottenere tutto con il minimo sforzo.

In ogni caso continuo a dare il meglio di me quando i solchi sotto gli occhi si fanno più evidenti. In pratica, ora, sono un genio mancato.

Un po' di superbia, ad essere onesta, deve essermi rimasta appiccicata addosso, nonostante le lezioni di vita e questi anni durissimi. Non fosse così non avrei mai potuto pensare di riuscire a fare tutto, analisi, corsi di formazione, lavoro, viaggi, senza che il mio fisico ne risentisse.

Giovedì ho ripetuto la curva insulinemica. Il valore a 60 e 120 minuti si è trimezzato ma è ancora sopra la soglia di tolleranza. So quel che significa in termini medici: la cura sta funzionando, bisogna continuare. Non so cosa aspettarmi in temini riproduttivi. E' sufficiente? Dovrò aspettare ancora? Quanto? Il valore è ancora così alto da rendere concreto il rischio di mandare in pappa la stimolazione?

Mentre vengo corrosa dai dubbi continua senza intoppi la mia storia d'amore con la pedana Wii. Venerdì scorso ci siamo volute così bene da siglare un patto: un altro kilo, solo uno e poi me sparo una crema de scampi che vojo mori' sopra. 

Che sia o meno una diretta conseguenza dell'insulina ai minimi storici non è dato saperlo, fattostà che sto ovulando in discreto anticipo rispetto alla solita tabella di marcia. Il che sarebbe pure una bella notizia se la materia prima non fosse confinata tra i sassi di una città per me irraggiungibile prima del prossimo week end, quando, ovviamente, sarà troppo tardi.

Il cambiamento è l'unica costante, si sa. Così oltre a un giro vita extra small e a due zigomi mai così evidenti, ho anche un cellulare nuovo. Il Nokia ha tirato le cuoia proprio nel giorno delle analisi. L'ho sostituito al volo con un Samsung dalla sigla sconosciuta, solo una parola è stata in grado di farmi passare il rodimento di chiùl: android.

Siccome sono cresciuta a pane e Via col vento ho deciso di chiudere la cosa con un gesto scenografico (che devo aver visto in qualche fiction di bassa lega) e ho gettato il vecchio smartphone nel Tevere. E' durato un attimo, ha fatto pluf ed è sparito, per sempre.

Vorrei funzionasse così anche coi cattivi pensieri.

Pluf! E non ci sono più.

giovedì 25 febbraio 2016

E la luna bussò

Sono figlia unica di genitori atipici. Sono abituata a stare sola. Soprattutto, sono abituata a cavarmela da sola.

Chiedo raramente aiuto, raramente mi fido. Non è orgoglio ne superbia. É imbarazzo o, se la volete fare facile, mancanza di abitudine.

Ho demolito e ricostruito da sola la mia identità. Ho lottato contro i miei demoni, accettato le mie diversità.

Ho imparato a bastarmi e l'ho fatto così bene da essere diventata gelosa del mio tempo, così intimo e sacro.

Sono sempre stata sola ma non ho mai sofferto di solitudine. Fino a martedì sera. Con la PMS, un letto vuoto e nessuno da chiamare.

Poi l'ho vista. Tonda, luminosa e sola, come me. S'è ritagliata uno spazio tra le pieghe della tenda bianca della camera da letto.

Ci siamo fatte compagnia.

Così mi sono ricordata che siamo tutti soli e che proprio per questo, in fondo, non lo siamo mai.

sabato 20 febbraio 2016

Dire, fare, stancare

La doverosa premessa é che scrivere un post dal pollice e mezzo di uno Smartphone il cui appellativo é solo una pretesa, seduta a gambe incrociate su una sedia di metallo, imprigionata in un non luogo antropologico dopo essere passata per bus, metro B, Leonardo Express, aeroporto e altra stazione é difficile. Assai.

Vogliate quindi perdonare le imprecazioni sospirate e l'eccesso di toni polemici.

Sono a Bari. Bér per i pugliesi. Ma la terra dei taralli, dei trulli e della pizzicarella non é la mia destinazione finale. Sto aspettando un fantomatico treno che dovrebbe portarmi nella città dei sassi, dove l'USI alloggia stabilmente da due settimane.

Non vi parlerò della sveglia all'alba, ne dell'espressione contrariata di quell'hostess bellissima, algidissima e acidissima quando ha visto la mole del mio bagaglio a mano perché, in fondo, é capitato a tutte di farsi il bidet col bicarbonato almeno una volta nella vita.

Potrei dirvi del lavoro degli ultimi giorni. Stimolante, coinvolgente e tanto. Tanto. Tanto. Oppure del corso di formazione professionale su malattie rare e media, magari rivolto a un giornalismo mini settoriale e poco adatto a una malata immaginaria, ma interessantissimo.

Forse questa sarebbe una buona occasione per confessarvi il primo sgarro alla dieta, durante un buffet luculliano come lu demogno tentatore. Se rinuncio alla Nutella non posso pure privarmi dei tramezzini. Sono una donna non sono una santa.

Dovrei, magari, recensirvi la Shapewear che nasconde i difetti, comprime la ciccia e gli organi interni, garantisce, sempre a patto che non respiriate, una perfetta postura. O, meglio, gioire con voi per l'acquisto a prezzo stracciato di un paio di pantaloni presi dal List di via Frattina.

Ma sono stanca. Così stanca che ieri pensavo fosse oggi e mi sono svegliata di soprassalto, fissando la sveglia che segnava le 7, col panico di chi sa che potrà perdere un aereo. Ho così rinunciato a depilazione, shampoo e manicure e in procinto di elemosinare un passaggio, quando finalmente mi sono riconnessa al flusso spazio-temporale ed ho realizzato che era solo venerdì, mi sono messa a ridere. Da sola.

Poi sono tornata a dormire perché ve l'ho detto, sono stanca.

martedì 16 febbraio 2016

Sotto il vestito, la Shapewear

Non ne conosco il motivo ed ho eroicamente resistito alla tentazione di interpellare Dr. Google ma da quando sono diventata la pia donna devota all'ascetismo alimentare pago molto di più, in termini di malessere fisico, qualsiasi sgarro alla dieta.

Per esempio due sere fa avevo proteine per cena. Ho scelto il crudo sgrassato sostituendo al pane integrale una piadina. E alla mela un quadratino di cioccolato fondente. Ero convinta che l'ora di sport mi avesse concesso l'immunità. Carlo Cracco non può fottermi!

Alle 4 e 25 mi sono svegliata in preda ad incubi la prima serie di Fargo in loop non si digerisce facilmente, sapete, sudorazione e autocombustione.

Per domare le fiamme che avviluppavano il mio stomaco, l'esofago, la gola, le viscere non ho potuto far altro che arrendermi ed abbracciare la tazza. In ginocchio. Con lo scaldino a palla dritto sulla faccia. Perché io valgo.

Il giorno dopo in acensore la Ma' mi ha consigliato il cioccolato senza zucchero, burro, cacao. Volevo risponderle magnatelo te ma temevo ripercussioni, così ho sorriso e mentendo sapendo di mentire ho solo annuito e detto sicuramente lo proverò, sicuramente.

Negli ultimi 9 giorni ho perso 4 etti. Mamma Mina mi ha incoraggiato ad essere fiera del risultato. Ma da tre dicotre! domeniche senza fettuccine e pastarelle io mi aspettavo qualcosina in più. Niente di impegnativo, dopotutto, solo svegliarmi Valeria Mazza. Però bruna. Che ci tengo al mio colore di capelli.

Siccome le fissazioni sono peggio delle malattie ho iniziato a valutare l'acquisto di una Shapewear. Pare una cosa fighissima in realtà è la rivisitazione duepuntozero della vecchia cara pancera. Quello stesso terribile indumento intimo che le vostre madri esibivano con orgoglio e senza pudore nei meravigliosi '80 e che ha concesso loro di mascherare slabbramenti post gravidici e grandi abbuffate domenicali post boom economico.

Ecco la prescelta:

Rigorosamente color carne perché se una cosa fa cagare, fa cagare. Inutile cercare di renderla socialmente accettabile colorandola di nero.

Ho scritto alle Sisters chiedendo se a loro parere necessiti dell'arnese che, per esempio, potrebbe aiutarmi a vivere, anzichè cercare di non respirare, quando indosso un tubino.

Tu necessiti di un analista, bravo. Hanno risposto.