venerdì 3 luglio 2015

Fauna

Quando ti capita di lavorare per un'azienda che a sua volta presta servizio nella Pubblica Amministrazione, vieni a contatto con un numero paurosamente elevato di referenti o responsabili o, più semplicemente, capi che passano ore, giorni, settimane, mesi a studiare ostacoli in funzione della loro causa a favore dell'ostruzionismo della serenità lavorativa e, quindi, della produttività. Più il tuo knowhow sarà elevato maggiori saranno, sia per quantità che per qualità, le grane che ti tireranno addosso.

Una delle mie responsabili si chiama . E' rossa, lenitgginosa, magrissima. Somiglia a Susan Saradon. Non parla, aggredisce. E lo fa velocemente. Prima che tu possa capire con esattezza cosa cazzo vuole è già sgusciata via, guizzando come un merluzzo in una rete da pesca, lungo i corridoi labirintici che rendono così difficile l'orientamento in questo posto.

Puoi venire - ha detto ieri - ho un problema col banner. Il tempo di alzarmi che aveva già cambiato idea.

Poi ci sono le sue schiave. La Ele somiglia a paperino, cambia umore con la stessa frequenza con cui io tradisco la dieta e, pare, abbia una storia con un musicista squattrinato che, approfittando della sua posizione, sfrutta i suoi denari per la soddisfazione dei propri vizi. Non è felice e si scatta i selfie.

La Ma' è, invece, una signora sorridente giusto un poco supponente, mamma di una dodicenne che adora, complessivamente serena, gentile, accomodante. Fino a quando non le viene chiesto di lavorare.

L'unico uomo è Ste'. Intelligente, smanettone, politicamente impegnato. Un tipo interessante e interessato. Ai cazzi tuoi. Leggenda vuole che nelle sere di luna piena approfitti della tua assenza in ufficio e mentre fai pipì o sorseggi un caffè spii senza vergogna la tua cronologia di uazzapp.

A quattro mesi e mezzo dal mio debutto traccio profili psicologici della complessa e variegata fauna lavorativa che mi circonda nel tentativo, spesso vano, di difendermi e fare bella impressione consapevole di non averne bisogno perché tutti, in fondo, fanno la stessa cosa con me, senza che io me ne renda conto.

La verità, pensavo stamattina, è che siamo troppo concentrati a scrutare gli altri per tornaconto invece che sviluppare empatia, fili emotivi che ci permetterebbero, magari, di vivere più sereni e sentirci più liberi di dire, chessò, alla che se non urla e non smerluzza via dopo aver farfugliato una frase incomprensibile, siamo tutti più felici. E lavoriamo pure meglio.

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