lunedì 28 settembre 2015

Il triangolo, sì

Sono passati tre anni e un mese. Era l'agosto del 2012 quando decidemmo di avere un bambino. Avevamo da poco festeggiato il nostro primo anniversario di matrimonio e il mondo, nonostante ci avesse già presentato il conto, ci sembrava un universo di aspirazioni e possibilità.

Sono cambiate tante cose. Siamo cambiati tanto pure noi.

Io sogno di meno e  faccio di più. Mi conosco meglio, credo in me stessa, sono affogata, sono rinata. Da sola.

Dalla tempesta non ne siamo ancora usciti e forse il cammino sarà ancora molto lungo, di sicuro è vero quel che si dice: non siamo più le stesse persone che ci sono entrate.

Questa mattina, per la prima volta, le mie aspettative hanno coinciso con la realtà. Una realtà che in cuor mio prevedevo da tempo, attendevo con ansia, poi con bramosia, poi con sottile rassegnazione. Fatalismo, quasi.

Lui, con la sua faccia tonda che somiglia a un pomodoro, mi ha atteso per la terza volta, like a boss, sulla sua sedia girevole

Allora che famo Principe'?

Abbiamo concluso insieme che il problema potrebbero essere le tube, stappate sì ma rovinate, forse. E che un par de intrauterine che, nel dubbio, non se negano a nessuno, sarebbero un dispendio di soldi, tempo e, soprattutto, energie che non possiedo giù.

L'avrà convinto la faccia smunta da notte insonne, l'occhiaia galoppante e l'occhio spento, non so. Di certo sentirlo dire se stai co l'occhio fisso a guarda' il soffitto prendemo sta decisione, adesso è stato consolatorio, come d'improvviso essere capita. Finalmente, cazzo. Finalmente.

Sarà FIVET.

E non sarà una passeggiata perché, ironia della sorte, pare io sia fin troppo fertile per una procedura medica così invasiva. Tanti follicoli, tanto rischio iperstimolo. Ma non ho paura. Sbocaccio è quello giusto.

I figli certe volte si fanno in tre. Comunque vada ora so che questa è la strada giusta. La persona giusta. Il terzo giusto.

domenica 27 settembre 2015

Il colpo basso della vigilia

Parlo poco e scrivo ancora meno. Più che il blocco della scrittura ho il blocco delle emozioni. Il mio psaico, se ancora fosse parte della mia vita, sono certa non approverebbe quest'ascetismo sentimentale. Ma è una comoda trincea e io mi ci sistemo dentro alla perfezione.

Non fosse altrimenti non sarei riuscita ad accusare un altro colpo che per, per la verità, è riuscito ad oltrepassare le barriere emozionali sconvolgendo i fragili equilibri quotidiani così faticosamente mantenuti nel mio bozzolo provvisorio.

Mia cognata aspetta il secondo figlio.

E la notizia è arrivata per vie traverse, ufficiose, fumose, ipocrite. Mio marito non ha avuto tatto nel dirmelo e io, esclusa da queste emozioni, ho trattenuto a stento le lacrime.

L'assenza di tempismo continua ad essere il leitmotiv della mia vita. Sì perché domani, lunedì 28 settembre, inizierà il mio percorso. Quello più duro. Incontrerò Sboccaccio, sarà il nostro terzo appuntamento. Dalla laparoscopia sono passati sei mesi, sei cicli, sei speranze sempre meno consistenti, sempre più fumose. Ed ora è tempo di decisioni.

Avrei voluto fare il pieno di energie e ottimismo ma la realtà m'ha sbattuto in faccia, ancora una volta, la mia diversità.

Guarda quanto devi faticare, Princess. Guarda invece com'è semplice essere normale. 

D'altro canto la scorsa settimana ho avuto conferma dei miei sospetti.

Quando tuo malgrado entri a far parte di una categoria impari a interpretare segnali per gli altri oscuri o poco rilevanti e riconosci i tuoi simili. Un po' come quando i cani s'odorano il culo, perdonate il paragone poco fine.

Sto parlando di Capetta che ha avuto la sua bambina a 40 anni, oltrepassando un inferno fatto di visite, analisi e referti nefasti. Nove fibromi, problemi tiroidei, una FIVET, nove mesi di riposo assoluto e, guarda un po', l'MTHFR mutato in omozigosi.

A suo modo ha cercato di farmi forza. L'ho apprezzato molto perché solo chi è nella tua stessa situazione può arrogarsi il diritto di entrare in punta di piedi nel tuo intimo e darti consigli.

Per la prima volta in tre anni di ricerca spasmodica e disperata sento le energie venir meno. E la voglia pure. Forse è solo l'ansia della vigilia che, inconsciamente, sto cerando di combattere con l'indifferenza e abbassando le aspettative. Forse sono davvero troppo stanca e troppo sola. Forse non sono pronta. Forse non lo si è mai.

martedì 15 settembre 2015

In vino veritas

Riccardo ha 36 anni e nessuna scusa. Se non quella di avere un'intelligenza emotiva un po' sopra la media che lo rende sensibile, vulnerabile e perciò incline alle autogratificazioni momentanee e dannose che i benpensanti chiamano, semplicemente, vizi.

Riccardo abusa di alcool. Quando beve diventa logorroico, un poco paranoico ma mai violento. L'alcool, soprattutto, non assopisce i suoi sensi ne rallenta le sue sinapsi.

Ci siamo incontrati in metropolitana, poi sul bus, infine gli ho dato un passaggio a casa. Abbiamo parlato di musica, teologia, fisica. Abbiamo parlato di me. Come quando parti da una voce a caso su Wikipedia e la sua fitta rete di collegamenti ti porta su una pagina già nota ma che non avresti mai pensato di raggiungere così.

Certo che ho la crisi della trentenne perché a trent'anni capisci di essere mortale, senti il peso del limite naturale del libero arbirtrio, fai i conti e impari, per certi versi, ad accettare le aspettitve disilluse dei tuoi vent'anni.

Che rimanga tra me, te e il cruscotto. Queste tue parole mi fanno capire una cosa. Non sei felice.

Hai mai consciuto qualcuno davvero felice?

A ben pensarci no. E chi si autoproclama felice mente.

La felicità è una folata di vento, una scarica fortissima ma fugace di adrenalina. Non dura. Non è fatta per durare. Quella è la serenità.

Io comunque sono stato felice, sì felice!, di aver chiacchierato con te stasera

Anche io. Ma bevi de meno Riccardì.

E tu stai serena, trent'anni sono pochi per rinunciare alle utopie. 

mercoledì 9 settembre 2015

La filosofia del fai-da-te

Di sicuro nella mia vita c'è solo che io la vita me la complico anche quando non sarebbe proprio utile, tantomeno necessario.

Svolazzo tra un desiderio e un altro e sebbene mi impegni per soddisfarmi al meglio sono anche perfettamente consapevole dei miei umani limiti così, visto che non posso inseminarmi da sola e nemmeno rendermi fertile, mi concentro su altri futili obiettivi. O fisse. As you wish.

Quello della panza a tavoletta, per esempio, tempra il mio carattere e la mia determinazione. Sono arrivata a mantere il Plank per due minuti, passati i quali mi abbandono al pavimento come la più lasciva delle meretrici, ansimante e sfinita ma soddisfatta e orgogliosa della mia prestazione.

Poi c'è l'affare divano che avevo quasi concluso. Tale Monica, salvata sulla mia rubrica col fantastioso nome di Monica Divano, pareva convinta. Stavolta a mandare in fumo la trattatativa ormai ultimata sono stata io, sempre un attimo prima di decidere orario e giorno del ritiro. Sarà destino. Collega Enne m'ha skyppizzata per dirmi che lo voleva la sua sister, in procinto di convivenza. Così ho dato a lei la priorità pensando che il detto prima i tuoi e poi gli altri se puoi potesse essere applicato anche alle sorelle delle colleghe, a discapito degli estranei e della povera Monica Divano. Ora son qui che spero nel rinculo dell'altruismo. Perché, sapete, la tipa in questione è per la verità un tantinello instabile, potrebbe lasciarmi col divano sul groppone, un accordo sfumato e un immenso rodimento di culo.

Ieri sera, intanto, ho iniziato a sistemare le mie gioie nell'apposito portagioielli da armadio. Ho fatto fuori più della metà delle scatole e sfamato in parte il mio istinto perfezionista.

Evidentemente, però, tutto questo trambusto, unito a 8 ore di lavoro e 3 di viaggio, non mi abbastava. Difatti mi sono prodigata per rimediare due bancali da mercato con cui costruire un tavolinetto da giardino da mettere a corredo del salottino da esterno, regalo di nozze, utilizzato rarissime volte. Per non spendere troppi dineri ho speso troppo tempo nella vana ricerca di una vernice spray bianca da applicare, alla buona, sul truciolato per poi scorpire che servirebbe anche un olio fissativo, una base, carta vetrata e diversi pennelli che non ho intenzione di acquistare.

Verrà fuori una cagata. Ma questo pare sia il bello del fai-da-te. Improvvsare e sperare nel miracolo. Non è manco troppo male come fisolofia di vita.

lunedì 7 settembre 2015

Il Q.I. del lunedì

Sto cercando di convincermi di essere una persona intelligente nonostante non sia stata in grado di regolare i miei ritmi sonno-veglia, col risultato d'essere stata dilaniata dall'insonnia con una sveglia al canto del gallo e una settimana lavorativa pregna di impegni vecchi e nuovi.

Al nervosismo, al cerchio alla testa e ai sensi ovattati s'è aggiunto l'intenstino gonfio e dolorante che magari con l'insonnia non c'entra una mazza ma con la margherita consumata voracemente un'ora prima di coricarmi sicuramente sì.

L'impresa motivazionale ha subito un'ulteriore battuta d'arresto quando stamattina, al bar, mi sono spalmata su entrambe le mani la nutella del cornetto. Erano così impiastricciate che non sono neppure riuscita a prendere la bustina di zucchero per il caffè. Fortuna che il barista s'è mosso a compassione e, senza che io chiedessi nulla, m'ha allungato due tovaglioli grandi di carta. L'ho ringraziato con la bocca piena perché essere considerata una deficiente non mi era bastato, bisogna sempre superare i propri limiti.

Collega Effe aka la mia Capetta è tornata dall'esilio (perchè dopo la terza settimana d'assenza non sono più ferie). Mi ha raccontato di Minorca, offerto un orzo. Poi ha preteso di essere aggiornata su tutte le attività svolte e in corso. Io, che sono poco tollerante ma assai diligente, ho cercato di farle entrare in quella zucca ricoperta da chioma leonina che è tutto sotto controllo. Tutti siamo utili, nessuno indispensabile.

Nessuna novità ufficiale sul fronte gara, solo chiacchiere da corridoio piuttosto ottimistiche e quindi, con buona probabilità, false.

Del resto io non so cosa sperare. Essere qui a Gennaio significherebbe aver conquistato un'invidiabile stabilità lavorativa e un contratto con qualche tutela in più ma vorrebbe anche dire aver rimandato, ancora, la FIVET, non avere nessuno in pancia e nella mia vita e morire dentro ad ogni ennesimo lieto annuncio di amici e conoscenti.

Forse è il caso che continui a sfogare la mia smania di controllo su armadi, cassetti e pulizie domestiche lasciando che gli eventi decidano per me e sperando che il fato sia un po' più clemente, stavolta.


sabato 5 settembre 2015

Cose della vita

Dopo cinque giorni di dieta e allenamento venerdì sera sono andata a cena da mia madre. Volevo evitare la solitudine indotta dall'ennesima assenza di mio marito. Ho mangiato una piadina e mezzo crudo e mozzarella e due fette di torta gelato. Perché sono una persona coerente e so resistere alle tentazioni.

Tornata a casa, quasi a mezzanotte, mi sentivo ancora sola e ho deciso di colmare il vuoto emozionale dando libero sfogo alla mia smania ossessivo compulsiva. Ho sistemato i vestiti nella cabina, l'intimo e gli asciugamani nei cassetti e ho acquistato d'impulso un portagioielli da armadio, questo qui:



La mia collezione di concaglierie si è arricchita d'una collana di coralli, un paio di orecchini color smeraldo con riflessi bluette, diversi medaglioni di diversi colori. Ho ritenuto fosse opportuno concludere l'era delle scatolette di varia natura e dimensione dando lustro, ordine e visibilità alla mia bigiotteria e liberando buona parte del secondo cassettone del comò.

Frattanto la telenovelas divano continua. Il prezzo di vendita è passato dal pretenzioso all'irrisorio. Ho ricevuto diverse offerte, tutte inconcludenti. Un acquirente ha rinunciato a trattativa ultimata, quando mancava solo l'accordo sull'orario di ritiro.

Sono cose della vita, vanno prese un po' così. Ingul.

La figa vera

Sono sempre stata carina. Tranne nel periodo preadolescenziale non a caso definito da mia zia scimmiesco. Non mi sono mai sentita una figa, nonostante i miei ragazzi si siano sempre prodigati per aumentare la mia autostima.

Ho lavorato e lavoro sulla mia bellezza. Perché una buona base ti garantisce la sufficienza ma gli ottimi voti te li devi sudare. Uso il mascara, i tacchi alti, qualche volta il push-up, mi piastro i capelli, sono a spesso a dieta, mi ammazzo di cyclette. Conosco i miei pregi e li valorizzo, conoscono i miei difetti ma non li nascondo, ci ironizzo su.

A trent'anni raggiungi un buon compromesso, impari a conoscerti, ti accetti.

Fino a quando non incontri lei: la figa vera.

Badate bene, per figa vera non intendo la ragazza di gomma, plateau, cerone in faccia e borsetta Chanel.

La figa vera è bella senza make-up e con le sneakers. Ha la terza naturale, il vitino di vespa, il ventre piatto, le chiappe altezza scapole. La figa vera non è un'oca. Ha una dialettica brillante, è sveglia, simpatica, intelligente, suona uno strumento, parla tre lingue, viaggia da sola, sa far di conto, danza sulle punte. Anche voi sapere fare tutto questo? Beh, lei lo farà meglio. Vi fregherà sempre. La figa vera è sicura di se ma mai superba, modesta ma mai accondiscendente, riservata ma mai timida.

Io di fighe vere ne ho conosciute un bel po'. Sono spesso passata dall'ammirazione allo scetticismo fino a nutrire concreto sospetto riguardo la loro autenticità.

Mi sono chiesta se davvero sono nate così o hanno solo lavorato meglio sulla loro buona base. Se anche loro hanno l'alitosi appena sveglie, il cagotto, il brufolo nel premestruo. Se anche loro fanno gaffe, cadono, sono sgraziate sul sampietrino col tacco 12. Se piangono per amore o ricevono cazziate sul lavoro. Se si sentono sole, inadeguate, brutte.

Quel che so è che le donne competono. Con gli uomini, con i colleghi, con le altre donne, con se stesse. E la competizione, quando non è malata, spesso le sprona, le migliora, le valorizza.

Ma con una figa vera non si compete e, soprattutto, la figa vera non si imita. Imitarla significherebbe arrendersi alla frustrazione, all'insoddisfazione. Significherebbe rinunciare alla parte migliore di noi, quella che ci differenzia e ci rende uniche: l'imperfezione.

giovedì 3 settembre 2015

Il Plank e il cardio (mancato)

La mia nuova fissa si chiama Plank ed è un'esercizio che, come molti altri, promette pancia piatta in quattro settimane. Minimo sforzo, massima resa.

Faccia in giù, ventre in su, gomiti a terra, equilibrio sulle punte dei piedi.
'nsomma sta cosa qua:



Si inizia con pochi secondi e si arriva a manternere la posizione per qualche minuto.

Completamente dimentica di essere parte e causa di un rapporto conflittuale con lo sport e digiuna di qualsivoglia nozione ginnica ho deciso di associare al Plank sessioni di addominali alti, bassi, laterali, squat e cyclette. Ero convinta che un solo esercizio non sarebbe bastato a combattere la panza botticelliana.

I primi giorni è andato tutto liscio. Ho creduto, persino, di avere un corpo atletico e reattivo. Poi l'acido lattico s'è svejato e ha invaso impuntemente ogni fibra del mio corpo rendendomi difficoltosa la camminata, la seduta, la tosse, la risata, lo starnuto.

Parevo 'na mummia.

Siccome però la raccomandazione, piuttosto scontata in realtà, delle fanatiche del Plank era di non saltare neppure un giorno di allenamento ho deciso di non cedere alle lusinghe della pigrizia e alla paura di fare la fine di Lisa Fusco e, impavida e determinata, ho proseguito avendo cura di eliminare qualche sessione di addominali di troppo e i canonici 20 minuti di cyclette.

Fiera dei miei modesti successi ho raccontato le mie peripezie sportive a Mr. Cospirazione che frequenta la palestra con assiduità due volte la settimana e segue un rigoroso piano di manetenimento fisico e potenziamento muscolare.

Ho così scoperto che l'addominale stimolato sotto uno strato di adipe non solo non serve a un piffero ma, a livello estetico, risulta addirittura dannoso perché accentua la forma circolare della panza.

Piuttosto converebbe andare a correre o, in generale, fario cardio.

Gasata dai piccoli risultati che, comunque, grazie a un'attività fisica moderata e incompleta ma costante ho raggiunto, avevo quasi deciso di accogliere il consiglio del collega e alternare o intergrare al Plank qualche esercizio aereobico o la corsa.

Poi però mi sono resa conto che la mia lista di buoni propositi non prevedeva anche un'incremento delle attività ginniche e che, tutto sommato, preferisco farmi gli impacchi di pappa reale sui capelli.

Sono certa che la mia antenata Sissi capirà.

mercoledì 2 settembre 2015

The SAD

Collega Enne è tornata. Agosto le ha lasciato in dote due nuove potenziali storie d'amore che l'hanno, per ora, tenuta lontana dal plurisposato A. Le nevrosi adolescenziali, però, non l'hanno lasciata e ad ogni vibrazione del Nokia sobbalza sulla sedia girevole come in preda a convulsioni da tarantella salentina. A corredo Baglioni in sottofondo con Tu come stai. Facciamo un salto alla macchinetta e poi andiamo a tagliarci le vene tutti insieme. Sì.

Fortuna che Mr Cospirazione si è palesato in orario facendo capolino dalla porta col suo ciuffo tinto di fresco e ha iniziato a parlare di depurazione delle acque, filtri e controlli sulle sorgenti.

Era meglio Baglioni.

Il cazzeggio da ripresa in sordina, avrete immaginato, prosegue inesorabile. Le vere attività riprenderanno solo la settimana prossima e io alterno iperattività a pigrizia, sessioni di squat e addominali a bivaccamenti sul divano, insalate deprimenti a paccheri alla crema di funghi.

Le mie altalene comportamentali oscillano impazzite, mosse dalla mano invisibile che fa il paio a quella dell'economia. Passatemi la battuta da azionista.

Se non pensassi a catastrofi imminenti andrebbe tutto molto meglio. Meglio ancora se riuscissi a dormire bene. Per non parlare dello stato di grazia di cui potrei beneficiare se non pensassi proprio a niente o continuassi a restare fedele alla mia nuova filosofia di vita che prevede una rivisitazione manco troppo avveniristica del chi vuol esser lieto sia, di doman non c'è certezza di Mediciana memoria.

Sono così stupita e arrabbiata con me stessa per questo passo di gambero che ho deciso as usual di imputare negatività, apatia, ansia, sbalzi umorali, insonnia e irritabilità a qualche misteriosa forza esogena fuori dal mio controllo: la depressione stagionale.

Il Dottor Google ha confermato la diagnosi ma da quando ho coscienziosamente deciso di interrompere il rapporto fiduciario col suo algoritmo non do più per oro colato tuto quello che leggo. La paura che non sia solo un periodo ma una vera e propria regressione mi indispone e, al contempo, mi sprona.

Vorrei che qualcuno, qualcosa mi risevegliasse dal torpore degli ultimi giorni. Poi gnente mi guardo indietro penso che quel qualcuno sono io e quel qualcosa me lo devo conquistare.